"Il segreto della vita cristiana è l'amore. Solo l'amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nei cuori." Papa Francesco 8/10/2013

sabato 28 febbraio 2015

Santo del giorno

Siamo nell’Inghilterra del X secolo, tra un’invasione e l’altra, mentre l’Europa è incapace di reagire agli assalti degli arabi dal sud, degli ungari da est e dei vichinghi dal nord. Per non dire di Roma dove la stessa Chiesa è ostaggio delle grandi famiglie locali che impongono papi a mano armata e allo stesso tempo li detronizzano o li uccidono. Osvaldo discende da una famiglia di danesi stabilitasi in Inghilterra. Non conosciamo la sua data di nascita, però sappiamo che nel 959 è ordinato sacerdote, dopo aver studiato in Francia nell’abbazia benedettina di Fleury, grande centro culturale del tempo. Nel 961, su raccomandazione di S. Dunstano, di cui condivideva gli ideali monastici, viene consacrato vescovo di Worcester e si trova a risolvere grossi problemi tra il clero secolare che attraversa una crisi seria dal punto di vista morale e culturale. Egli si impegna a fondo per migliorarne l’educazione e garantire l’osservanza del celibato. La sua caratteristica gentilezza, la sua cortesia e la sua gioiosità lo fanno amare molto anche dal popolo. Nel 964 trasforma il suo Capitolo in una comunità monastica, fondando anche dei monasteri, dei quali particolarmente importante è quello di Ramsey. Nominato arcivescovo di York, gli viene concesso di conservare la diocesi di Worcester, essendo egli ormai diventato la figura più importante della rinascita monastica del X secolo, che darà in seguito all’Inghilterra molti vescovi, artisti e centri di studio, e alla Scandinavia molti missionari. Ma ad un certo punto la situazione si capovolge: nel 978 muore assassinato Edoardo, re degli anglosassoni, e gli succede il fratello Etelredo, che si accanisce contro i monasteri (si salva però quello di Ramsey), rendendo in parte vana l’opera di Osvaldo. Ma il santo ha formato tra i giovani molti preti degni e più ritardi se ne vedranno i frutti. La morte lo coglie il 28 febbraio del 992 e il suo culto è tuttora vivo a Worcester dove se ne conservano le spoglie.

venerdì 27 febbraio 2015

Santo del giorno

Francesco Possenti nacque il 1° marzo 1838 ad Assisi, dove il padre era Governatore della città prima del trasferimento a Spoleto come giudice del locale tribunale. Mortagli la madre quando aveva appena sei anni, fu affidato ai Fratelli delle Scuole Cristiane e nel 1850, a dodici anni, entrò nel collegio dei Gesuiti, dove studiò con ottimi risultati. Era un giovane elegante e vivace e frequentava volentieri la buona società, ma già allora era affascinato dalla vita religiosa. Una serie di lutti - oltre alla madre, morirono due fratelli di cui uno suicida e infine, nel 1835, la sorella maggiore – gli fece comprendere l’inconsistenza delle gioie umane, orientandolo sempre di più verso una scelta religiosa, nonostante l’opposizione del padre che avrebbe voluto inserirlo nella vita amministrativa. Su consiglio del confessore, entrò fra i Passionisti, fondati da san Paolo della Croce, che erano noti nello stato pontificio per le missioni popolari che vi tenevano, per la vita di penitenza e la pratica della carità verso i poveri. A 18 anni cominciò il noviziato a Morrovalle assumendo il nome di Gabriele dell’Addolorata, vivendo con entusiasmo la rigidità della Regola, compiendo austere penitenze e seguendo il percorso formativo incentrato sulla meditazione della Passione di Cristo. Dopo la professione si trasferì a Pieve Torina (Macerata) e poi a Isola del Gran Sasso per continuare gli studi in vista del sacerdozio, moltiplicando le pratiche ascetiche e le devozioni mariane. Nel maggio 1861 ricevette gli ordini minori, ma le vicende politiche e militari del 1860-61 che portarono alla proclamazione dell’unità nazionale fecero rinviare le ordinazioni sacerdotali. Nel frattempo, la salute di Gabriele peggiorò rapidamente ed egli morì il 27 febbraio 1862. Beatificato da Pio X nel 1908 e canonizzato da Benedetto XV nel 1920, sei anni dopo fu da Pio XI dichiarato patrono della Gioventù cattolica italiana e nel 1959 da Giovanni XXIII patrono dell’Abruzzo.

lunedì 23 febbraio 2015

Santo del giorno

Policarpo era discepolo di san Giovanni evangelista e amico di sant’Ignazio di Antiochia. Nato da genitori cristiani dopo il 75 e subito battezzato, acquistò ben presto autorità, tanto che venne designato vescovo di Smirne e mandato a Roma da papa Aniceto come rappresentante dei cristiani dell’Asia Minore per discutere la questione della data per la celebrazione comune della Pasqua. Su tale argomento non si giunse a un accordo tra i vescovi di Smirne e di Roma, ma Policarpo seppe mantenere l’unità della fede nel rispetto delle diversificate tradizioni delle due Chiese locali. Lui e il Papa rimasero entrambi in comunione e si separarono in pace. Inoltre, la sua permanenza presso la sede apostolica non fu inutile: egli ebbe infatti occasione di confutare efficacemente gli Gnostici e di impedire che false dottrine conquistassero facilmente i fedeli. Aveva forse 86 anni quando fu preso e – nonostante gli sforzi per salvarlo dei giudici che non comprendevano la fermezza della fede dell’anziano vescovo, interpretandola come ostinazione - condannato a morire sul rogo nello stadio di Smirne. L’esecuzione avvenne un 22 febbraio durante il proconsolato di Stazio Quadrato, (nell’anno155-156 o secondo altri 168-169). Conserviamo una lettera in cui ci è narrato il martirio del santo: la scrisse un certo Marcione immediatamente dopo la morte e venne inviata ai cristiani di Smirne e a quelli di Filomelio nella Frigia. Si tratta di un documento importante sotto l’aspetto storico, agiografico e liturgico. Prima che fosse bruciato vivo, la folla diede testimonianza al vescovo gridando: «Questo è il maestro d’Asia, il padre dei cristiani, il distruttore dei nostri idoli, che insegna a molti a non fare sacrifici e a non adorare». Per la sua antichità è pure da segnalare la lettera di Policarpo ai cristiani di Filippi, con citazioni da Clemente Romano e dalla prima lettera di Pietro, in cui esorta alla fedeltà nella fede e nella pratica della vita cristiana a imitazione di Cristo.

domenica 22 febbraio 2015

Santo del giorno

Nella vicenda di Margherita ci sono tutti gli ingredienti per una fiaba o per una fiction televisiva: una bella ragazza, un castello principesco, una matrigna che la odia e non le risparmia umiliazioni, un innamorato che poi muore assassinato, e infine una conversione che la porta alle vette della santità. Ma di fiabesco non c’è nulla, si tratta di una storia vera. Nata nel 1247 a Laviano, presso il lago Trasimeno, a 8 anni le muore la mamma e il padre si risposa, ma disgraziatamente la matrigna non sopporta la bambina tormentandola in mille modi. A 18 anni Margherita si innamora di Arsenio, un giovane di Montepulciano col quale fugge attratta dalla promessa di un matrimonio che però non avverrà mai, nonostante la nascita di un figlio, per l’opposizione della famiglia di lui. Lei vive questa situazione anomala con sofferenza e cerca di rimediarvi soccorrendo generosamente i poveri. Ed ecco la svolta: dopo 9 anni di convivenza, il giovane viene ucciso a pugnalate ed è proprio Margherita a scoprirne il corpo ai piedi di una quercia. Lei cerca di rientrare in famiglia, perché i parenti di Arsenio non la accettano, ma nemmeno il padre, su istigazione della matrigna, si rifiuta di accoglierla. A Cortona si mette sotto la direzione dei frati Minori che le preparano una cella sotto il vecchio convento, dove comincia il suo itinerario di conversione e di dura penitenza come terziaria francescana, venendo gratificata da rivelazioni e da estasi, e riuscendo a riconciliare molti suoi concittadini. Da tutta Italia, nonostante la diffidenza di alcuni frati nei suoi confronti, accorre gente di ogni condizione per chiederle consiglio e molti vengono da lei convertiti grazie al dono della scrutazione dei cuori. Margherita muore il 22 febbraio 1297, dopo 17 giorni trascorsi in intima unione con Dio. Numerosi i miracoli attribuiti alla sua intercessione. Ne è riconosciuto il culto nel 1515, ma la canonizzazione ufficiale avverrà solo il 16 maggio1728 ad opera di Benedetto XIII.

sabato 21 febbraio 2015

Santo del giorno

Dante, nella Divina Commedia, lo colloca nel settimo cielo tra i contemplativi. E con ragione. Nato a Ravenna nel 1007, Pier Damiani rivelò ben presto doti intellettuali straordinarie tanto che, dopo gli studi compiuti a Ravenna, Faenza e Parma, a soli 25 anni insegnava nell’università. Ma tre anni dopo si ritirò in solitudine nell’eremo camaldolese di Fonte Avellana per condurre vita penitente; da qui dovette trasferirsi per assumere l’incarico di predicatore offertogli dall’abbazia di Pomposa e da altri monasteri. Tornato a Fonte Avellana, dove fu nominato priore, fondò e riformò monasteri che riunì in una congregazione di forte ispirazione camaldolese. L’imperatore Enrico III e vari Pontefici lo fecero nuovamente uscire dalla sua solitudine per fare di lui il fustigatore instancabile delle due principali piaghe dell’epoca: la simonia e l’immoralità del clero. Creato cardinale, nonostante le sue resistenze, da Stefano IX per governare la diocesi suburbicaria di Ostia nel 1057, dieci anni dopo rinunciò dopo aver visto il fallimento dei suoi sforzi per riconciliare il papato con l’impero. Grande viaggiatore, fu anche legato papale in Francia, Germania e in molte regioni italiane, sempre artefice di pace tra le fazioni avverse, e col suo rigore ascetico e la sua lotta per liberare la Chiesa dagli affari temporali fu un precursore della riforma intrapresa dal suo grande amico, il monaco Ildebrando (futuro Gregorio VII), di cui però non condivideva i metodi, poiché pensava di agire più efficacemente dal suo eremo. Nel 1072, al ritorno da un’ennesima missione papale a Ravenna, Pier Damiani morì a Faenza nel monastero benedettino di Santa Maria foris portam la notte del 22 febbraio, mercoledì delle Ceneri. Per l’ardente difesa della dottrina, che lo portò a scrivere opere teologiche, pastorali e agiografiche (celebre la biografia da lui dedicata al fondatore dei camaldolesi, san Romualdo), il santo sarà proclamato nel 1828 da Leone XII dottore della Chiesa.

venerdì 20 febbraio 2015

Santo del giorno

È una beata di soli dieci anni Giacinta Marto a cui, insieme al fratello maggiore Francesco e alla cugina Lucia, il 13 maggio 1917 apparve la Vergine a Fatima. Una storia che conosciamo tutti e che agli inizi soprattutto provocò sofferenze non indifferenti a loro e alle loro famiglie, soprattutto a causa di un massone fortemente ostile alla Chiesa il quale, per farsi rivelare il segreto confidato ai tre pastorelli dalla Madonna, con uno stratagemma anziché condurli alla Cova da Iria come aveva promesso, li segregò minacciandoli di farli friggere vivi in una caldaia di olio bollente. Ma essi non cedettero. Furono allora rinchiusi nella prigione pubblica, dove i detenuti cercarono di persuaderli a rivelare ciò che sapevano. Ma essi li esortarono a recitare con loro il Rosario. Nel 1918 l’Europa fu colpita da una terribile epidemia broncopolmonare, la cosiddetta “Spagnola”, che contagiò anche i due fratelli Marto: Francesco morì il 4 aprile 1919 all’età di dieci anni e nove mesi. Giacinta che fino allora era stata sempre sana e piuttosto robusta per la sua età, ne fu talmente prostrata che non riuscì più a riaversi. La malattia fu per lei causa di grandi sofferenze, che offrì al Signore – insieme ad altre penitenze che volontariamente si imponeva – per la conversione dei peccatori e in riparazione delle offese fatte a Dio. Ricoverata nell’ospedale S. Agostino di Vila Nova de Ourém, senza averne alcun beneficio, nel gennaio 1920, causa una pleurite purulenta, fu trasferita nell’ospedale pediatrico della capitale, con suo dispiacere perché lontana dalla famiglia e sapendo che sarebbe morta tra breve, come le era stato preannunciato dalla Madonna. Il 20 febbraio chiese al parroco che l’aveva confessata di portarle la comunione; ma il sacerdote disse che le sue condizioni di salute non erano gravi e che gliela avrebbe data il giorno seguente. «Troppo tardi» rispose lei. Infatti morì la sera stessa. Giovanni Paolo II ha beatificato Giacinta e Francesco il 13 maggio 2000.

giovedì 19 febbraio 2015

Santo del giorno

Il patrono della città e della diocesi di Noto, in Sicilia, curiosamente è un nobile piacentino, Corrado Confalonieri. Nato nel 1290 a Piacenza, da giovane si diede alle armi. Durante una battuta di caccia per stanare la selvaggina ordinò di appiccare il fuoco a cespugli e piante della zona, ma l’incendio provocato fu tale da distruggere coltivazioni e case. Corrado e i suoi compagni fuggirono e le guardie del governatore arrestarono un poveraccio che non c’entrava per nulla, condannandolo a morte. Corrado, a questo punto, si presentò raccontando la verità e dicendosi pronto a riparare gli ingenti danni causati. Si ritrovò così in miseria e nel 1315, mentre sua moglie, Eufrosina, entrava nel monastero delle Clarisse a Piacenza, lui si fece terziario francescano a Calendasco. Poi però, in cerca di solitudine, dopo aver peregrinato a Roma si imbarcò per la Terrasanta, dove si trattenne qualche anno. Nel ritorno si fermò prima a Malta poi in Sicilia, precisamente a Noto, dove abitò prima nelle celle della chiesa del Crocifisso; poi, infastidito dalle frequenti visite di gente che veniva a chiedere consiglio e dalla violenza di alcuni malintenzionati che lo picchiarono a sangue ricevendone però un generoso perdono, si ritirò nella grotta dei Pizzoni, che il popolo chiamerà poi col suo nome. E non l’abbandonerà più, se non per andare di tanto in tanto dall’amico Guglielmo Buccheri, un eremita francescano che si era trasferito a Scicli. Al suo confessore, un sacerdote di Noto, il 17 febbraio del 1351 disse testualmente: «Tra due giorni, alle Grotte, avrò bisogno di te». Sapeva infatti che in quel giorno sarebbe morto. Lo trovarono infatti cadavere, ma, secondo la tradizione,in ginocchio. Intorno al suo eremo nel XX secolo sorgerà un istituto per orfani dell’Opera di Don Orione. Il terremoto del 1693 risparmiò i suoi resti, sepolti nella chiesa di san Nicolò, divenuta cattedrale della nuova diocesi, che ha in Corrado Confalonieri il patrono principale.

mercoledì 18 febbraio 2015

Santo del giorno

Giovanni da Fiesole, più noto come Beato Angelico, nacque a Vicchio di Mugello, presso Firenze, verso il 1400. Entrato da giovane nell’ordine dei Predicatori, dopo i voti solenni fu assegnato al convento di San Domenico a Fiesole. Nel 1418, essendo già sacerdote, cominciò a dipingere per Santa Maria Novella; ma fu soprattutto quando i frati ottennero il convento fiorentino di San Marco che fu incaricato di affrescarne tutti gli ambienti, dalla chiesa al chiostro, dall’aula capitolare alle cellette dei frati rievocando col suo pennello, in maniera inimitabile, tutti i misteri della vita di Gesù e la beatitudine dei santi. In quel periodo ebbe numerose commesse dai Certosini, dai Francescani, dai Camaldolesi e dai Vallombrosani. Successivamente, nel 1445 Eugenio IV lo chiamò a Roma per fargli affrescare la cappella del Sacramento nel palazzo vaticano, e lì egli lasciò poi splendidi dipinti anche nella cappella di Niccolò V (le storie di S. Stefano e S. Lorenzo). Per qualche tempo fu a Orvieto per le pitture che egli eseguì, insieme con Benozzo Bozzoli, in quel duomo. Tornato nel 1449 a Fiesole, dove fu eletto priore, lasciò nel 1452 per sempre la Toscana per il convento romano di S. Maria sopra Minerva, dove morì il 18 febbraio 1455 all’età di 68 anni. La fama di santità ne ha sempre accompagnato quella di sommo artista. Nel Capitolo generale celebrato a Viterbo nel 1904 i Domenicani ne chiesero l’approvazione del culto; successivamente, Pio XII e Paolo VI ne caldeggiarono la causa e Giovanni Paolo II ne decretò il 3 ottobre 1982 la beatificazione ufficiale, proclamandolo due anni dopo Patrono universale di tutti gli artisti e affermando, tra l’altro, che Giovanni da Fiesole «fu un religioso esemplare e un grande artista, un sacerdote-artista che seppe tradurre in colori l’eloquenza della parola di Dio. Egli rese vero nella propria vita il legame organico e costitutivo che c’era tra il Cristianesimo e la cultura, fra l’uomo e il Vangelo».

lunedì 16 febbraio 2015

Santo del giorno

Nato il 21 gennaio 1851 a Castelnuovo d’Asti (ora Castelnuovo Don Bosco) come il santo dei giovani e come san Giuseppe Cafasso, che era suo zio per parte di madre, dopo gli studi ginnasiali all’oratorio salesiano di Torino, dove ebbe come confessore lo stesso Don Bosco, entrò in seminario e fu ordinato sacerdote nel 1873. Dotato di una maturità eccezionale, fu nominato direttore spirituale del seminario e nel 1880 fu promosso rettore del santuario della Consolata, del quale ideò e diresse radicali restauri. Inoltre, fece rivivere il Convitto ecclesiastico che il Cafasso aveva valorizzato con la sua virtù e la sua sapienza. Da giovane aveva desiderato farsi missionario, ma non avendone il fisico, decise di fondare un istituto per le Missioni Estere nel quale coinvolgere molte forze sane del clero torinese, allora particolarmente abbondante. Nel 1902 partiva per il Kenya un primo manipolo di Missionari della Consolata. Con cura indefessa il beato, eletto e sempre confermato superiore, si occupava della formazione dei futuri apostoli, imbevendoli del suo spirito con la parola (si conservano due volumi di sue conferenze) ma soprattutto con l’esempio di vita interiore, di sacrificio, di raccoglimento. Ebbe come collaboratore il can. Giacomo Camisassa, anche nel disbrigo delle incombenze riguardanti il santuario della Consolata, preso com’era dai suoi molti impegni: era anche consigliere ricercatissimo da parte di vescovi, sacerdoti, religiosi e persone di tutte le classi sociali. Nel 1910 Pio X gli ordinò di dar vita anche a un istituto femminile: «Santo Padre», obiettò lui, «non ho la vocazione di fondatore di congregazioni femminili». «Se non ce l’avete», così il Papa, «ve la do io!». Nacquero così le Missionarie della Consolata. L’Allamano si impegnò anche per il processo canonico dello zio Cafasso, che fu beatificato nel 1925. Lui morì pochi mesi dopo, il 16 febbraio 1926. Lo ha dichiarato beato Giovanni Paolo II il 7 ottobre 1990.

domenica 15 febbraio 2015

Santo del giorno

Figlio di un notaio, Claudio nacque a Saint-Symphorien d’Ozon, nel Delfinato, il 2 febbraio 1641 e fu educato a Lione dai Gesuiti; nell’ottobre 1658 entrò nella Compagnia di Gesù proseguendo gli studi prima a Lione (filosofia), poi a Parigi (teologia) e nel 1669 fu ordinato sacerdote. Nel 1674, durante il terzo anno di probazione, si obbligò con voto particolare all’osservanza esatta di tutte le regole e disposizioni dell’Ordine, senza riserva alcuna. Eletto, nel 1675, superiore del collegio di Paray-le-Monial, vi giunse nel momento in cui Maria Margherita Alacoque, nel monastero della Visitazione, soffriva terribilmente per le incomprensioni di parecchie religiose circa le rivelazioni di cui la degnava il Sacro Cuore di Gesù e per cui era considerata, anche da parte di molti religiosi, un’illusa. Ma Gesù le aveva fatto sapere che presto le avrebbe inviato in aiuto un suo fedele servitore, il padre De La Colombière, a cui fu dato l’incarico di confessore straordinario delle monache. A lui la santa apri il cuore e grazie alla sua azione, si diffuse in Francia la devozione al Cuore di Gesù e fu istituita la grande festa riparatrice, il giorno dopo l’ottava del Corpus Domini. E questo nonostante il clima religioso infiammato a causa dello scontro con Roma per le dottrine giansenistiche secondo le quali i devoti del Sacro Cuore venivano irrisi come idolatri. Nel 1676 il santo fu inviato a Londra come predicatore della duchessa di York, Maria Beatrice di Modena, sposa del futuro re Giacomo II, e anche lì non mancò di perorare la causa della devozione al Cuore di Gesù. Tradito da un prete apostata, fu imprigionato nel 1678 sotto l’accusa di aver provocato abiure di sacerdoti inglesi apostati: il freddo e l’umidità del carcere, oltre allo scarso vitto, ne prostrarono la salute al punto che i giudici lo rinviarono in Francia. Morì a Paray-le-Monial il 15 febbraio 1682. Beatificato nel 1929, fu canonizzato da Giovanni Paolo II il 31 maggio 1992.

sabato 14 febbraio 2015

venerdì 13 febbraio 2015

Santo del giorno

Benigno, nato e vissuto a Todi, subì il martirio durante l’ultima cruenta persecuzione di Diocleziano e Massimiano, all’inizio del IV secolo, e il suo corpo raccolto da mani pietose venne sepolto lungo la strada che da Todi conduceva al cosiddetto Vicus Martis, una località che ancora oggi è chiamata S. Benigno. Lì fu edificato un oratorio e, più tardi, un monastero di Benedettine. Purtroppo, essendo andato perduto l’antico “Leggendario” della Chiesa di Todi, di questo santo sappiamo solo che fu ordinato sacerdote per la sua bontà e rettitudine, e che affrontò coraggiosamente la tortura e la morte per la difesa della verità. Andato in rovina il monastero, nel 1440 le Benedettine furono trasferite in città, e vi portarono pure il corpo del martire nella chiesa detta delle Milizie, dedicata a santa Margherita. Nel 1810, essendo state cacciate le monache in seguito alle leggi di soppressione decise da Napoleone, i resti di Benigno vennero traslati nella chiesa di San Silvestro: da qui tornarono poi nella chiesa di Santa Margherita, rimanendovi fino al 1904, anno della definitiva soppressione delle Milizie. Da allora vennero collocati in San Silvestro, dove si venerano nell’altare maggiore, racchiusi in un’urna d’argento, sul quale figura il punzone della Zecca pontificia con la data del 1679. Il culto per S. Benigno, nonostante questi spostamenti legati a eventi storici, si è conservato a Todi attraverso i secoli. E certamente quel poco che di lui si sa è sufficiente per dare credibilità alla sua vicenda. Tra l’altro la sistemazione del suo sepolcro e la venerazione per le sue reliquie dovevano essere soddisfacenti se già alle fine del secolo XIII non si ritenne opportuno farne la traslazione per riunirle, con quelle degli altri santi tudertini, nel grande tempio di San Fortunato. Che il suo ricordo non abbia subito pause lo conferma anche il fatto che un calendario del 1649, alla data del 13 febbraio, come oggi, registra queste parole: «Festa al monastero delle Milizie».

giovedì 12 febbraio 2015

Santo del giorno

Era un nobile visigoto e si chiamava Vitiza. Nato verso la metà del secolo VIII in Settimania, regione a sud dell’allora regno dei franchi, fu mandato ancora fanciullo dal padre alla corte del re Pipino il Breve perché ricevesse una formazione adeguata; più tardi si pose al servizio di Carlo Magno, successo a Pipino, ma nel 774 cominciò in lui un processo di conversione, soprattutto dopo che, durante l’attraversamento di un fiume, aveva rischiato di annegare insieme al fratello. Attribuita a Dio la salvezza, si fece monaco col nome di Benedetto nel monastero di Saint-Seine presso Digione. Ma insoddisfatto della disciplina che vi veniva praticata, lo abbandonò ritirandosi ad Aniane (oggi nella Linguadoca) dove costruì un cenobio destinato a diventare il centro di una grande riforma. Riallacciato il contatto con la corte carolingia, con l’aiuto di Carlo Magno e di altri nobili franchi costruì un nuovo monastero più ampio imponendovi l’osservanza della regola di Benedetto da Norcia. Il successore di Carlo, Ludovico il Pio, lo volle come suo consigliere e lo incaricò della riforma dei monasteri dell’Aquitania e nell’817 decise di estendere questa a tutti i monasteri del territorio imperiale. Convocata ad Aquisgrana un’assemblea degli abati dell’area franco-germanica, Benedetto presentò una serie di canoni, il cosiddetto Capitolare monastico, che fu promulgato da Ludovico come nuova disciplina di tutti i monasteri dell’impero. Esso imponeva prescrizioni liturgiche uniformi, dando grande rilevanza all’Ufficio divino, e determinava con maggior rigore la disciplina del digiuno e le norme riguardanti il cibo e le bevande. Inoltre, accanto alla preghiera poneva il lavoro, sia all’interno del monastero (cucina, forno, officine), sia nei campi, e dava importanza anche al canto e alla musica. Benedetto morì l’11 febbraio 821 nel monastero di Cornelimünster presso Aquisgrana, che Ludovico aveva costruito per avere più vicino a sé il santo.

mercoledì 11 febbraio 2015

Santo del giorno

Oggi la Chiesa ricorda una delle più celebri apparizioni mariane, avvenuta a Lourdes, un paese ai piedi dei Pirenei, l’11 febbraio 1858. La quattordicenne Bernadette Soubirous, recatasi presso la grotta di Massabielle sulla riva del torrente Gave per raccogliere legna, ad un certo punto avvertì un vento impetuoso e vide nella nicchia della grotta una figura luminosa di donna che sorridendo la invitò ad avvicinarsi. L’apparizione si ripeté per altre diciassette volte e il 25 marzo la donna dichiarò: «Io sono l’Immacolata Concezione», e ordinò che su quel luogo venisse costruito un santuario. Solo 4 anni prima, l’8 dicembre, Pio IX aveva proclamato il dogma dell’Immacolata Concezione. Tuttavia, il racconto di Bernadette non fu subito preso sul serio nemmeno dall’autorità ecclesiastica, mentre gli ambienti anticlericali ironizzavano sul fatto. Ma cominciarono i primi prodigi che convinsero la folla sempre più numerosa che accorreva a Massabielle: lavandosi ad una fonte sgorgata miracolosamente nella grotta, un lavoratore delle locali cave di pietra, che aveva perso l’uso dell’occhio in seguito allo scoppio di una mina, riacquistò improvvisamente la vista, mentre una donna vi immerse il suo bambino dichiarato dai medici moribondo, togliendolo guarito all’istante. Nella penultima apparizione, i testimoni presenti, tra cui un medico, videro la fiamma del cero scivolato tra le dita della veggente in estasi lambirle la mano senza bruciarla. Il 18 gennaio 1862 mons. Laurence, vescovo di Tarbes, riconobbe che la Vergine era realmente apparsa alla_Soubirous. Questa nel 1865 entrò fra le suore dell’Istruzione Cristiana di Nevers, dove morì nel 1879. Pio XI la canonizzò l’8 dicembre 1933. Col tempo, Lourdes è diventata meta di pellegrinaggi, di preghiere e luogo di penitenza per la conversione dei peccatori. Leone XIII permise in quel luogo una ufficiatura liturgica che san Pio X estese poi a tutta la Chiesa latina nel 1907.

martedì 10 febbraio 2015

Santo del giorno

L’unica fonte storica di cui disponiamo circa la vita della sorella di san Benedetto sono due capitoli del secondo libro dei Dialoghi di San Gregorio Magno, opera scritta a scopo di edificazione, e tuttavia molto attendibile nelle sue linee fondamentali. Scolastica nacque a Norcia verso il 480 e fin da giovanissima si consacrò al Signore col voto di verginità. Più tardi, quando il fratello si installò a Montecassino con i suoi monaci, fece vita comune con un gruppetto di donne in un altro monastero situato nella località detta Piumarola, in quel di Aquino. Scolastica era’anima pura, contemplativa per eccellenza e Gregorio parla di lei quasi unicamente con riferimento a Benedetto. C’è una pagina dei Dialoghi in cui li descrive insieme. I due fratelli avevano convenuto di incontrarsi soltanto una volta all’anno e nella Quaresima del 547 si diedero appuntamento in una casetta presso Montecassino, fuori dai rispettivi monasteri. Il colloquio verteva soprattutto su argomenti spirituali, ma forse anche sugli eventi che stavano sconvolgendo in quel tempo l’Italia, devastata dalle guerre tra i bizantini del generale Belisario e i goti del re Totila, con le popolazioni oppresse dalla fame e dalla carestia. Le ore passavano e venne il tempo di separarsi; Scolastica avrebbe voluto prolungare il colloquio, ma Benedetto rifiutò perché la Regola non si doveva infrangere. Allora la santa si raccolse un po’ in preghiera, ed ecco scoppiare un violentissimo temporale che costrinse tutti a rimanere nella casetta: i due fratelli e i loro accompagnatori e accompagnatrici si adattarono per passare la notte in quella dimora, conversando e pregando. Si separarono all’alba e tre giorni dopo Scolastica morì: Benedetto dalla sua cella – ci racconta san Gregorio Magno - vide l’anima della sorella salire verso l’alto in forma di colomba. Scolastica venne sepolta nella tomba che il fratello aveva fatto preparare per sé a Montecassino e dove anche lui sarebbe stato deposto più tardi.

lunedì 9 febbraio 2015

Santo del giorno

I particolari della vita di questa santa d’Egitto ci sono sconosciuti, ma Eusebio nella sua Storia Ecclesiastica riporta un brano della lettera del vescovo san Dionigi di Alessandria, indirizzata a Fabio di Antiochia, in cui narra alcuni episodi di cui era stato testimone durante la persecuzione scoppiata negli ultimi anni dell’impero di Filippo (244-249): una sommossa popolare, aizzata da un malvagio indovino, produsse il massacro di moltissimi cristiani, le cui case furono devastate e saccheggiate. I pagani presero Apollonia, una donna non sposata, già avanzata in età, alla quale colpirono le mascelle facendone uscire i denti, e minacciarono di gettarla in un rogo da loro acceso se non avesse pronunciato assieme a loro parole empie. «Ella», così nella lettera di Dionigi, «chiese che la lasciassero libera un istante: ottenuto ciò saltò rapidamente nel fuoco e ne fu consumata». Il fatto sarebbe avvenuto nel 249. La vita di Apollonia era stata irreprensibile e degna di ogni ammirazione, e forse questa sua condotta esemplare e l’apostolato che svolgeva suscitò l’ira dei pagani, che infierirono sul suo corpo in maniera crudele e volgare. Il racconto di Dionigi, così come lo possediamo, non contiene il minimo rimprovero per questa fine volontaria di Apollonia, che può sembrare suicidio. L’episodio dovette suscitare ammirazione non solo tra i carnefici e i pagani, ma fra gli stessi cristiani. Di questo si trova un’eco in Sant’Agostino il quale però non prende posizione sul problema se sia lecito darsi volontariamente la morte per evitare di cadere in peccato. Il culto di Apollonia si diffuse comunque presto in Oriente, e più tardi anche in Occidente: a Roma una chiesa, che oggi non esiste più, con un cimitero attiguo fu dedicata a lei presso la basilica di S. Maria in Trastevere. Molte sono pure le località d’Europa in cui furono costruite chiese e cappelle in onore della martire alessandrina, e particolarmente ricca è l’iconografia che la riguarda.

domenica 8 febbraio 2015

Santo del giorno

Girolamo Emiliani (o Miani, come veniva chiamato popolarmente), nato a Venezia nel 1486 da una famiglia patrizia, nel 1511 si trovò coinvolto, in qualità di Castellano reggente a Castelnuovo di Quero sul Piave al posto del fratello Luca, ferito in guerra negli scontri fra le truppe della Serenissima e quella della Lega di Cambrai. Il 26 agosto fu catturato e messo in prigione. L’esperienza del carcere provocò in lui un cambiamento radicale. Liberato misteriosamente per intercessione della Madonna, nel santuario di Santa Maria Maggiore a Treviso fece voto di dedicarsi ai poveri, agli infermi e agli orfani. Al riguardo decisivo per lui fu l’incontro con Giampiero Carafa (futuro papa Paolo IV) diventato suo direttore spirituale, e con san Gaetano Thiene, che aveva fondato l’ospedale degli Incurabili; e poiché in conseguenza delle guerre e delle epidemie ricorrenti c’erano tanti orfani a cui pensare, egli cominciò a raccoglierli istituendo per loro il Pio Luogo San Basilio, poi, dopo aver rinunciato a ogni proprietà a favore dei suoi sei nipoti (tre figli del fratello Luca e tre dell’altro fratello Marco), cominciò una singolare missione itinerante in varie città della Repubblica di Venezia e dello Stato di Milano per istituirvi o riorganizzarvi orfanotrofi e ricoveri per le prostitute convertite. Prima tappa fu Verona, poi eccolo a Brescia, quindi a Bergamo, Milano, Pavia e Como, dove diede vita a diverse case di accoglienza. Con alcuni collaboratori fondò a Somasca, un villaggio tra Bergamo e Lecco, la Compagnia dei Servi dei Poveri. Contagiato dalla peste mentre si prodigava ad assistere i suoi orfani colpiti dal morbo, morì l’8 febbraio 1537. La sua Compagnia fu poi elevata da Pio V a ordine religioso col nome di Chierici regolari di Somasca (più noti come Somaschi). Beatificato nel 1747 e canonizzato nel 1467, fu da Pio XI nel 1928 proclamato “patrono universale degli orfani e della gioventù abbandonata”.

sabato 7 febbraio 2015

Santo del giorno

Giovanni Maria Mastai Ferretti nacque a Senigallia il 13 maggio 1792. Mandato a Volterra presso gli Scolopi, iniziò gli studi che completò poi a Roma nel Collegio Romano. Ordinato sacerdote nel 1819, continuò il suo apostolato in mezzo ai giovani dell’ospizio “Tata Giovanni”. Pio VII, che ne apprezzava le doti di mente e di cuore, nel 1823 lo inviò in Cile al seguito del delegato apostolico presso Cile e Perù, ma resasi impossibile la permanenza della rappresentanza pontificia in quei paesi, il Mastai rientrò a Roma e Leone XII lo nominò nel 1827 vescovo di Spoleto, dove si fece apprezzare per la bontà d’animo, la grande carità e la mansuetudine. Trasferito nel 1832 a Imola, si cattivò anche qui la stima della popolazione per la qualità del suo programma pastorale, aggiornato ai bisogni del tempo. Nel 1840 Gregorio XVI lo creò cardinale e il 16 giugno 1846, Mastai uscì dal conclave pontefice col nome di Pio IX. Un mese dopo, concesse l’amnistia ai fuoriusciti, ai condannati e agli accusati politici degli Stati Pontifici; istituì in Comitato per l’introduzione delle strade ferrate e un altro per la riforma della pubblica amministrazione, diede nuove norme a garanzia della libertà di stampa e nel marzo 1848 concesse lo Statuto. Le correnti liberali videro in queste aperture una premessa ad uno schieramento del Papa contro l’Austria, ma avendo egli rifiutato, la massoneria gli scatenò contro una campagna di ostilità. Proclamata la Repubblica Romana, fu costretto a lasciare Roma. Al ritorno, riprese il governo della Chiesa: l’8 dicembre 1854 proclamò il dogma dell’Immacolata Concezione; poi denunciò una serie di errori moderni con l’enciclica Quanta cura, seguita due anni dopo dal celebre Sillabo. Nel 1869 convocò il Concilio Vaticano I per riaffermare davanti al mondo la validità della dottrina cattolica, e definì il dogma dell’Infallibilità pontificia. Morì il 7 febbraio 1878. Il tempo ha fatto giustizia di tante critiche e gravi calunnie mosse contro la sua persona e Giovanni Paolo II lo ha beatificato il 3 settembre 2000.

venerdì 6 febbraio 2015

Santo del giorno

Paolo Miki fu il primo giapponese ad essere accolto in un ordine religioso e il primo gesuita martire in Giappone. Nato nel 1556 a Kioto in una famiglia benestante, battezzato quando aveva 5 anni e a 20 entrò nel seminario dei Gesuiti di Anzuciana e due anni dopo fu iscritto fra i novizi della Compagnia di Gesù. Trovò difficoltà nello studio del latino, mentre divenne un buon conoscitore delle dottrine e delle usanze buddiste: tale conoscenza in seguito si rivelò molto utile perché egli fu in grado di sostenere con efficacia dispute e discussioni con i dotti locali, convincendone molti ad abbracciare il Cristianesimo. Era anche molto ricercato per la predicazione. Verso la fine del secolo XVI si scatenò in Giappone una violenta persecuzione anticristiana ad opera delle autorità locali. Tra le vittime ci fu anche Paolo che, arrestato il 26 dicembre 1596 a Osaka, trovò in carcere tre gesuiti, tra cui un suo compagno di noviziato, e sei francescani missionari, con diciassette giapponesi terziari francescani e catechisti. Trasferito insieme a loro nelle carceri di Meaco, fu condannato a essere crocifisso, dopo avere subito vari maltrattamenti e torture: prima gli fu mozzato l’orecchio sinistro, poi durante il viaggio di trasferimento a Nagasaki fu esposto alla derisione e al disprezzo delle popolazioni. Negli ultimi istanti della vita dimostrò un notevole coraggio rivolgendo parole di incitamento alle numerose persone presenti e invitandole ad aderire alla fede cristiana; poi espresse il suo perdono ai carnefici suscitando intensa commozione. Si recò verso il luogo della crocifissione recitando le parole di Cristo sul Calvario: «In manus tuas Domine commendo spiritum meum» (nelle tue mani, Signore, affido il mio spirito). L’esecuzione con due colpi di lancia al cuore avvenne il 5 febbraio 1597 su un’altura nei pressi di Nagasaki, denominata più tardi dai cristiani la «santa collina». Urbano VIII lo beatificò nel 1627 e Pio IX lo canonizzò nel 1862.

giovedì 5 febbraio 2015

Santo del giorno

Cresciuta in una famiglia illustre e ricca, sentì presto il desiderio di donarsi totalmente a Cristo e a 15 anni ricevette dal vescovo il velo rosso portato dalle vergini consacrate, dedicandosi poi a varie attività all’interno della comunità cristiana. Nell’anno a cavallo tra il 250 e il 251 giunse a Catania il proconsole Quinziano per far rispettare l’editto imperiale che chiedeva ai cristiani l’abiura pubblica della loro fede. Costui, affascinato da Agata, le ordinò di adorare gli dei e al suo secco rifiuto la affidò per un mese alla cortigiana Afrodisia con lo scopo di corromperla. Fallito anche questo tentativo, avviò un processo di cui conosciamo i dialoghi tra lei e il suo accusatore. Tradotta in carcere fu sottoposta a tortura, le fu strappata la mammella, ma nella notte San Pietro la visitò risanandole le ferite. Allora Quinziano la fece porre nuda su cocci di vasi e carboni ardenti, ma un terremoto fece crollare l’edificio seppellendovi i carnefici. Sottoposta al supplizio dei carboni ardenti, secondo la tradizione, mentre il fuoco bruciava le sue carni, il velo che lei portava rimase intatto. Nel primo anniversario della morte, una violenta eruzione dell’Etna minacciava di seppellire Catania ma gli abitanti, compresi molti pagani, presero il velo deposto sul suo sepolcro usandolo come scudo contro la lava, che immediatamente si arrestò. Da questo episodio si sviluppò lo straordinario culto dedicatole dalla città, di cui è patrona. Ancora nel 1886, il velo fermò la lava al borgo Nicolosi, posto sulle pendici del vulcano. Nel 1040 il corpo della martire fu trafugato e portato a Costantinopoli, ma nel 1126 due soldati della corte imperiale, ai quali era apparsa la santa, lo riportarono a Catania con una nave. Il nome di Agata fu inserito nel canone della Messa romana e in quello ambrosiano e ravennate. Il suo culto è ampiamente diffuso non solo in Italia, ma in tutto il mondo: è compatrona di Malta insieme a san Paolo, come pure della Repubblica di San Marino.

mercoledì 4 febbraio 2015

Santo del giorno

Figlio di Jocelino, facoltoso cavaliere di origine normanna, e di una inglese di modeste condizioni, Gilberto nacque a Sempringham nel Lincolnshire intorno al 1083. Avviato giovanissimo alla carriera ecclesiastica, andò a completare i suoi studi in Francia. Tornato in patria, aprí una scuola per la gioventú, ottenendo al tempo stesso in beneficio dal padre le due chiese di Sempringham e di Terrington, le cui ricche rendite, tuttavia, soleva distribuire regolarmente ai poveri, essendo andato a vivere nel palazzo episcopale di Lincoln. Il vescovo, Alessandro, dopo avergli conferito la sacra Ordinazione, lo nominò penitenziere della diocesi. Gilberto rimase ancora sette anni a Lincoln, poiché solo nel 1130 ritornò a Sempringham, dove fondò dapprima un monastero di religiose, e quindi anche una comunità maschile. Recatosi in Francia nel 1147, Gilberto ebbe occasione d'incontrarsi con il papa Eugenio III e san Bernardo. Sostenne san Tommaso Becket nella controversia contro Enrico II, per cui ebbe a subire persecuzioni. In seguito, dovette soffrire anche le calunnie di alcuni suoi monaci laici. Affranto dagli anni e dalla cecità, che lo aveva colpito nell'ultimo periodo della sua lunga esistenza, interamente votata al servizio di Dio e della Chiesa, Gilberto morí ultracentenario il 4 febbraio 1189. Canonizzato da Innocenzo III l'11 gennaio 1202, san Gilberto viene commemorato nel giorno anniversario della sua morte.

martedì 3 febbraio 2015

Una perla per te


“Non dimentichiamo mai che il vero potere è il servizio. Bisogna custodire la gente, aver cura di ogni persona, con amore, specialmente dei bambini, dei vecchi, di coloro che sono più fragili e che spesso sono nella periferia del nostro cuore.”
(Papa Francesco 19 Marzo 2013)


Santo del giorno

Ecco un santo nella cui festa è diffuso il rito della “benedizione della gola” fatta con due candele incrociate perché, secondo un’antica tradizione, il vescovo Biagio avrebbe prodigiosamente liberato un bambino da una lisca di pesce che gli si era conficcata in gola. Nato in data imprecisata del secolo III, Biagio fu fatto vescovo di Sebaste in Armenia quando nell’Impero romano era stata concessa la libertà di culto ai cristiani nel 313, sotto Costantino e Licinio. In seguito al dissidio scoppiato nel 314 tra i due imperatori-cognati, in Oriente dove governava Licinio ci furono delle persecuzioni locali con distruzioni di chiese, condanne dei cristiani ai lavori forzati e uccisioni di vescovi: Biagio allora lasciò la diocesi e andò a vivere in una caverna, dove guariva con un segno di croce gli animali ammalati. Scoperto da alcuni cacciatori e denunciato al magistrato, fu rinchiuso in prigione, dove riceveva e sanava gli infermi. Fu lì che si verificò il miracolo del bambino nella cui gola era finita una lisca di pesce. Biagio venne poi decapitato. Il suo culto è dei più diffusi in Oriente e in Occidente. Fra gli aspetti di esso ricollegabili alla vita del martire, il più importante è quello di taumaturgo per le malattie della gola, legato al citato miracolo. Il martirio di Biagio ha anche ispirato un gran numero di opere d’arte. A Milano, dove gli è stata dedicata una statua su una delle guglie del duomo, e in molte zone della Lombardia resiste tuttora l’usanza di non mangiare tutto intero il panettone natalizio, ma di riservarne una parte per la festa del santo. Il corpo del martire fu deposto nella sua cattedrale di Sebaste e nel 732 una parte di esso fu imbarcata su una nave per essere portata a Roma, ma il viaggio si interruppe a Maratea a causa di una tempesta e i fedeli accolsero le reliquie in una chiesetta (che sarebbe diventata l’attuale basilica) sull’altura detta Monte San Biagio, in cima alla quale nel 1963 fu collocata una statua del Redentore alta 21 metri.

lunedì 2 febbraio 2015

Santo del giorno

Questa grande mistica domenicana nacque a Firenze il 25 aprile 1522. Battezzata col nome di Sandrina, essendo rimasta orfana della madre a soli 4 anni, fu accolta nel monastero benedettino di S. Pietro in Ponticelli, dove era badessa sua zia. Desiderosa di abbracciare la vita religiosa, visitò diversi monasteri., poi scelse quello delle Terziarie Domenicane di S. Vincenzo, a Prato, ma a causa della opposizione del padre si ammalò gravemente rischiando di morire. Guarita prodigiosamente, vi entrò il 18 maggio 1535, appena dodicenne, assumendo il nome di Caterina. Inizialmente incontrò la diffidenza delle consorelle, che non comprendevano i suoi atteggiamenti estatici e le grazie straordinarie di cui il Signore la gratificava. Ritenuta affetta da squilibrio psichico, stava per essere dimessa, ma poi ottenne di fare la professione religiosa e riuscì col tempo a conquistare il rispetto e l’ammirazione delle monache. Sopraggiunsero in seguito altre manifestazioni mistiche, che noi conosciamo in parte perché costretta a rivelarle alla maestra di noviziato. Il primo giovedì di febbraio 1542 la santa ebbe la prima estasi della Passione, fenomeno che si ripeté settimanalmente per 12 anni: dal mezzogiorno del giovedì alle ore 16 del venerdì, riviveva momento per momento le fasi del Calvario e per l’intera settimana portava impressi nella carne i segni di un’atroce sofferenza. Tali fenomeni provocarono inchieste da parte dell’autorità ecclesiastica, risoltesi però tutte con esisto positivo. Sempre nel 1542 ricevette le stimmate che rimasero visibili sul suo corpo, e successivamente la corona di spine, mentre più volte il Signore la invitò a offrirsi vittima per l’unità della Chiesa dilaniata dalla riforma protestante. Diffusasi la sua fama di santità, ricorrevano a lei per consiglio Carlo Borromeo, Filippo Neri, Maria Maddalena de Pazzi e molte importanti personalità del tempo. Caterina morì il 2 febbraio 1590; beatificata nel 1732, fu canonizzata nel 1746.

domenica 1 febbraio 2015

Santo del giorno

Sant’Orso, uno dei personaggi più cari alla tradizione popolare valdostana, era un umile sacerdote incaricato di custodire la chiesa dedicata a san Pietro, che sorgeva fuori delle mura di Aosta. Le notizie certe su di lui sono poche, perché in nessuna delle due redazioni medioevali della sua vita – che si può stabilire tra i secoli V e VIII - troviamo dati precisi. Più sicuro è il suo dies natalis, la sua nascita al cielo, che secondo le più antiche fonti è assegnato al 1° febbraio. Egli non si distinse per azioni o eventi particolari: caratteristica della sua santità furono la inesauribile carità verso i poveri, la semplicità e l’umiltà, la pace interiore. Non era nobile, non possedeva ricchezze, esercitava con scrupolo e costanza il suo compito di custode della chiesa e si manteneva col lavoro delle proprie mani, coltivando la terra e lavorando ad un vigneto accanto alla propria abitazione. Il resto del tempo lo trascorreva al servizio dei malati e dei poveri, ai quali donava una parte del suo raccolto. Un’antica tradizione locale gli attribuisce diversi prodigi, tra cui quello di aver fatto scaturire, in tempo di siccità, col solo tocco del suo bastone, la sorgente di Busseyaz, nei pressi della città. Non riuscì purtroppo a smuovere il cuore indurito del vescovo Ploziano, descritto come un eretico ariano dominato dai peggiori vizi, ma che comunque trovò il suo meritato castigo in una fine ingloriosa. Il culto per il santo, oltre che ad Aosta dove venne dedicata al suo nome l’antica chiesa di san Pietro (oggi Collegiata dei santi Pietro e Orso), si estese nelle diocesi di Ivrea, Torino, Vercelli, Novara e, oltre le Alpi, ad Annecy e nel Vallese fin dal secolo XII, nonché nell’Italia Nord-occidentale. Egli è invocato come protettore delle campagne, contro i pericoli delle inondazioni o della siccità e contro le malattie del bestiame. Al suo nome è legata anche l’antichissima fiera degli oggetti in legno, detta appunto Fiera di Sant’Orso, che alla vigilia della festa richiama una gran folla ad Aosta.