"Il segreto della vita cristiana è l'amore. Solo l'amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nei cuori." Papa Francesco 8/10/2013
martedì 30 settembre 2014
Santo del giorno
Di origine dalmata (nacque in Croazia verso il 360), ultimata la sua formazione a Roma, Girolamo avvertì la vocazione monastica dopo essere entrato in contatto con la comunità di Treviri e, più tardi, con gli asceti di Aquileia da dove pensò di recarsi in Terrasanta, ma una grave malattia lo trattenne ad Antiochia; durante questo soggiorno, apprese perfettamente la lingua greca. Per diversi anni visse poi da monaco solitario nel deserto di Calcide, dove imparò l’ebraico. Tornato ad Antiochia, fu ordinato sacerdote, poi a Costantinopoli conobbe san Gregorio Nazianzeno e san Gregorio Nisseno. Invitato da papa Damaso, si recò a Roma dove il pontefice lo incaricò della revisione delle versioni latine della Sacra Scrittura; revisione che col tempo Gerolamo avrebbe completato con traduzioni completamente nuove dall’ebraico e dall’aramaico dei libri dell’Antico Testamento. Il latino biblico di Girolamo divenne un modello per l’intero Occidente. Sempre a Roma, egli fondò un noto circolo ascetico femminile all’Aventino, avviando allo studio della Bibbia donne della nobiltà romana, tra cui Paola, Eustochio e Marcella. Morto papa Damaso, per forti tensioni con il clero romano credette opportuno tornare in Oriente accompagnato da figure eminenti del circolo romano e, dopo aver visitato i luoghi santi, tutti continuarono il viaggio fino ad Alessandria, poi tornarono a Betlemme, dove si stabilirono definitivamente fondando un monastero per donne e uno per uomini. E a Betlemme Girolamo si spense, in età avanzata, il 30 settembre del 419. È considerato il più grande erudito fra gli scrittori latini dell’antichità cristiana; questa caratteristica e l’abbondanza della produzione letteraria che ci ha lasciato fanno di lui il tipo ideale dello studioso cristiano. Durante il Medioevo, fu venerato come patrono delle scuole e in particolare delle facoltà teologiche; attualmente, invocano il suo patrocinio gli studiosi di Sacra Scrittura.
lunedì 29 settembre 2014
Santo del giorno
Il nuovo calendario liturgico unisce, per la prima volta, i tre Arcangeli della tradizione biblica in una sola celebrazione. Si tratta di Michele (che significa “Chi come Dio?”), Gabriele (“Forza di Dio”) e Raffaele (“Dio ha guarito”). Di Michele si parla quattro volte nella Scrittura: due volte in Daniele, una volta nella Lettera di Giuda e nell’Apocalisse, dove lo vediamo combattere contro il dragone. Nel culto cristiano era già presente nel secolo IV e sono numerosissime le chiese e le cappelle a lui dedicate (si pensi al santuario del Gargano, all’abbazia normanna di Mont-Saint-Michel in Normandia, e al romano Castel Sant’Angelo dominato dalla statua di Michele che è presentato generalmente vestito da guerriero). È invece Gabriele che annuncia la nascita di Giovanni Battista a Zaccaria e quella di Gesù a Maria, alla quale delinea l’altissima fisionomia di Gesù “grande Figlio dell’Altissimo erede di Davide, Figlio di Dio”, facendosi così messaggero dei tempi messianici e rivelatore dell’evento centrale della storia della salvezza.. Nell’Antico Testamento (nel libro di Daniele) appare come annunciatore di divine rivelazioni, mentre nell’Islam è descritto come l’angelo che comunicò a Maometto il Corano in nome di Dio. Nella storia dell’arte la sua figura domina nelle infinite raffigurazioni dell’Annunciazione (si pensi solo a Giotto e al Beato Angelico). Quanto a Raffaele, che appare solo nel libro biblico di Tobia, è descritto nei panni di “custode” e “guaritore”. Mentre Michele e Gabriele hanno compiti ufficiali, nazionali e storici, Raffaele è l’angelo della quotidianità, che assume un profilo umano, per essere a noi più vicino e guidarci da vero e proprio “angelo custode” nelle difficoltà dell’esistenza. Egli è l’amico che consiglia e sostiene, è la presenza visibile di un Dio invisibile ma amoroso verso le sue creature. Per la sua opera di guaritore, Raffaele è venerato come uno dei patroni di coloro che curano i malati..
domenica 28 settembre 2014
Preghiera
DAMMI, SIGNORE, UN'ALA DI RISERVA
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come te!
Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un’ala soltanto. L’altra, la tieni nascosta: forse per farmi capire che anche tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con te.
Perché vivere non è «trascinare la vita », non è « strappare la vita », non è «rosicchiare la vita ».
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi
sa di avere nel volo un partner grande come te!
Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita.
Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero. Sono ali spezzate.
Sono voli che avevi progettato di fare e ti sono stati impediti.
Viaggi annullati per sempre.
Sogni troncati sull’alba.
Ma ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Per i voli che non ho saputo incoraggiare. Per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile, con l’ala penzolante, il fratello infelice che avevi destinato a navigare nel cielo. E tu l’hai atteso invano, per crociere che non si faranno mai più.
Aiutami ora a planare, Signore.
A dire, terra terra, che l’aborto è un oltraggio grave alla tua fantasia. È un crimine contro il tuo genio. E un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano.
È l’antigenesi più delittuosa. È la «decreazione» più desolante.
Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce. E che antipasqua non è solo l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata.
È ogni rifiuto del pane, della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari.
Antipasqua è la guerra: ogni guerra.
Antipasqua è lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita, dove « si tira a campare », dove si vegeta solo. Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine.
E si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con te.
Soprattutto per questo fratello sfortunato dammi, o Signore, un’ala di riserva.
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi sa di avere nel volo un partner grande come te!
Voglio ringraziarti, Signore, per il dono della vita.
Ho letto da qualche parte che gli uomini sono angeli con un’ala soltanto:
possono volare solo rimanendo abbracciati.
A volte, nei momenti di confidenza, oso pensare, Signore, che anche tu abbia un’ala soltanto. L’altra, la tieni nascosta: forse per farmi capire che anche tu non vuoi volare senza di me.
Per questo mi hai dato la vita: perché io fossi tuo compagno di volo.
Insegnami, allora, a librarmi con te.
Perché vivere non è «trascinare la vita », non è « strappare la vita », non è «rosicchiare la vita ».
Vivere è abbandonarsi, come un gabbiano, all’ebbrezza del vento.
Vivere è assaporare l’avventura della libertà.
Vivere è stendere l’ala, l’unica ala, con la fiducia di chi
sa di avere nel volo un partner grande come te!
Ti chiedo perdono per ogni peccato contro la vita.
Anzitutto, per le vite uccise prima ancora che nascessero. Sono ali spezzate.
Sono voli che avevi progettato di fare e ti sono stati impediti.
Viaggi annullati per sempre.
Sogni troncati sull’alba.
Ma ti chiedo perdono, Signore, anche per tutte le ali che non ho aiutato a distendersi. Per i voli che non ho saputo incoraggiare. Per l’indifferenza con cui ho lasciato razzolare nel cortile, con l’ala penzolante, il fratello infelice che avevi destinato a navigare nel cielo. E tu l’hai atteso invano, per crociere che non si faranno mai più.
Aiutami ora a planare, Signore.
A dire, terra terra, che l’aborto è un oltraggio grave alla tua fantasia. È un crimine contro il tuo genio. E un riaffondare l’aurora nelle viscere dell’oceano.
È l’antigenesi più delittuosa. È la «decreazione» più desolante.
Ma aiutami a dire, anche, che mettere in vita non è tutto. Bisogna mettere in luce. E che antipasqua non è solo l’aborto, ma è ogni accoglienza mancata.
È ogni rifiuto del pane, della casa, del lavoro, dell’istruzione, dei diritti primari.
Antipasqua è la guerra: ogni guerra.
Antipasqua è lasciare il prossimo nel vestibolo malinconico della vita, dove « si tira a campare », dove si vegeta solo. Antipasqua è passare indifferenti vicino al fratello che è rimasto con l’ala, l’unica ala, inesorabilmente impigliata nella rete della miseria e della solitudine.
E si è ormai persuaso di non essere più degno di volare con te.
Soprattutto per questo fratello sfortunato dammi, o Signore, un’ala di riserva.
Santo del giorno
Il primo slavo che ha meritato l’onore degli altari è san Venceslao, duca di Boemia. Nato nel 907 a Stochov dal duca Vratislav e da Drahomira, ricevette dalla nonna paterna Ludmilla, che la Chiesa venera come santa, una buona educazione religiosa. Mortogli il padre, nel 920 assunse la reggenza del ducato pur essendo ancora adolescente e fino alla maggiore età regnò sotto la reggenza della madre la quale però, entrata in contrasto con la suocera (probabilmente per l’influenza da questa esercitata sul giovane nipote), costrinse Ludmilla a ritirarsi a Tetín e più tardi la fece uccidere. Diventato maggiorenne, Venceslao riuscì a sottrarsi alla tutela della madre, allontanandola dalla corte, e fece traslare solennemente le spoglie di Ludmilla nella chiesa di San Giorgio a Praga. Nei suoi anni di regno cercò di consolidare e allargare i confini della Boemia e di resistere alla pressione del mondo germanico, avvicinando la sua terra all’Europa occidentale e alla sua cultura. Oltre che per l’amministrazione imparziale della giustizia e per l’attenzione ai poveri, il giovane duca si distinse per il suo zelo religioso e l’appoggio incondizionato al clero (in gran parte di origine germanica) nell’opera di evangelizzazione delle popolazioni. Frattanto però attorno al fratello minore Boleslao si era formata un’opposizione decisa ad impadronirsi del trono uccidendo Venceslao. In occasione della festa dei santi Cosma e Damiano, su invito del fratello il duca si recò al castello di Starà Boleslav, la cui chiesa era dedicata ai due fratelli taumaturghi. Il giorno seguente, mentre si recava in quella chiesa per recitare le preghiere del mattutino, Venceslao venne assalito da sicari e ucciso. Venerato come martire della fede, le sue spoglie furono traslate a Praga, nella chiesa di san Vito, e il suo culto si diffuse rapidamente in tutto il regno e nei paesi limitrofi. Col passare dei secoli, Venceslao diventò l’eroe nazionale e religioso, simbolo dello stato boemo.
sabato 27 settembre 2014
Santo del giorno
Questo grande santo della carità nacque a Pouy presso Dax in Guascogna il 24 aprile 1585. I genitori lo orientarono allo stato ecclesiastico, che era allora l’unica possibilità di promozione sociale per le classi inferiori. Studiò presso ifrancescani di Dax, e dopo aver iniziato i corsi all’Università di Tolosa, il 23 settembre 1600 fu ordinato prete, a soli 19 anni. A Parigi, dove nel 1608 aveva ottenuto la carica di elemosiniere della regina Margherita di Valois, incontrò Pierre de Bérulle, la cui spiritualità avrebbe avuto un ruolo importante per lui negli anni successivi assieme a quella di Francesco di Sales e di Ignazio di Lodola. Diventato cappellano della famiglia Gondi, ebbe la rivelazione dell’abbandono spirituale, oltre che materiale, dei poveri, trascurati da un clero ignorante e inefficiente. Dopo aver conosciuto Francesco di Sales e la Chantal, che gli affidarono la direzione dei loro monasteri della Visitazione, Vincenzo raccolse attorno a sé un gruppo di preti che condividevano l’ideale di evangelizzare i poveri. Nacque così la Congregazione dei Preti della Missione (o Lazzaristi). Poi, moltiplicandosi le iniziative delle Compagnie della Carità da lui create, con la collaborazione di Luisa de Marillac fondò le Figlie della Carità, che diventarono il modello di un gran numero di comunità femminili di servizio. Non voleva infatti che fossero religiose di clausura, come si usava allora: «Voi avete per monastero», diceva, « solo le case degli ammalati e quella della superiora; per cella una camera d’affitto, per cappella la chiesa parrocchiale, per chiostro le vie della città, per clausura l’obbedienza, per grata il timore di Dio, per velo la santa modestia». Oggi le Figlie della Carità sono la famiglia religiosa più numerosa della Chiesa cattolica. Negli ultimi anni di vita, il santo diede il tocco definitivo alle sue opere. Nel giugno 1660 le sue forze cedettero e il 27 settembre morì serenamente. Beatificato nel 1729, fu canonizzato nel 1737.
venerdì 26 settembre 2014
Santo del giorno
Cosma e Damiano erano fratelli, nati in Arabia nella seconda metà del III secolo, da genitori cristiani. Giovanissimi si recarono in Siria dove studiarono medicina ed esercitarono la professione prima a Egea poi a Ciro, una città dell’Asia Minore dove sarebbe stato vescovo, dal 440 al 458, Teodoreto che sarebbe stato anche il loro primo biografo. Era in atto la persecuzione di Diocleziano: per chi professava la fede c’erano la proibizione ad accedere a cariche pubbliche, la confisca dei beni, la prigionia e spesso la morte. Cosma e Damiano ne erano consapevoli, ma da veri cristiani accorrevano dovunque ci fossero dei malati, curandone non soltanto i mali del corpo, ma cercando di spingerli alla conversione. Per la loro generosità erano chiamati “anargiri”, cioè privi di argento, perché rifiutavano qualsiasi forma di retribuzione. La loro attività non passava inosservata e un giorno il governatore della Cilicia, Lisia, li fece arrestare ordinando loro di rinnegare ala propria fede e di rendere il culto all’imperatore, pena la morte. Ma essi, da veri “atleti di Dio” come li chiama Teodoreto, rifiutarono e per questo furono sottoposti ad ogni genere di tormenti che però, secondo la leggenda, non li toccarono minimamente, neppure quando essi furono gettati in una fornace, dalla quale uscirono incolumi mentre le fiamme investirono i carnefici. Il governatore, infuriato, ordinò infine che fossero decapitati. I loro corpi furono sepolti a Ciro da cui furono poi traslati a Roma nel 528 ad opera di papa Felice IV. Nel VI secolo l’imperatore Giustiniano fu guarito da una grave malattia per intercessione dei due martiri, ai quali furono poi dedicate numerose chiese a Costantinopoli, in Cappadocia, a Gerusalemme oltre quelle già esistenti a Roma. Il loro culto, sviluppatosi in Oriente dopo la loro morte, passò in Europa e si mantenne vivo fino a tutto il Rinascimento, dando luogo a un’iconografia tra le più ricche dell’Occidente.
giovedì 25 settembre 2014
Santo del giorno
Nessuno, probabilmente, ha esercitato un’influenza spirituale sulla vita della Russia quanto san Sergio di Radonez; egli è certamente all’origine di quel grande rinnovamento della vita spirituale russa che diede vita al cosiddetto “secolo d’oro” contribuendo non poco a portare quel grande Paese dentro la storia e la tradizione dell’Europa. Bartolomeo Kirilovitch nacque presso Rostov verso il 1314; all’età di 14 anni si trasferì con la famiglia a Radonez per sfuggire alla persecuzione delle milizie moscovite. Nel 1328, morti entrambi i genitori, col fratello maggiore Stefano rimasto vedovo, si diede a vita eremitica; tre anni dopo, non potendo il fratello sopportare i rigori dell’inverno russo, prese i voti nel vicino monastero di Khotkovo assumendo il nome di Sergio, quindi tornò al suo eremo dedicandosi alla preghiera, alla lettura delle Scritture e al lavoro manuale. La fama della sua vita esemplare attirò altri monaci in quello che fu chiamato il monastero della Trinità a Zagorsk. Successivamente il vescovo ordinò sacerdote Sergio nominandolo abate. Il numero dei monaci continuava ad aumentare e il Patriarca di Costantinopoli, Filoteo, gli consigliò di aprire il monastero alla vita cenobitica. Da allora il ruolo de santo nella vita spirituale e nella sfera politica russa crebbe sempre più: nel 1365 egli intervenne per scongiurare una guerra civile tra i principati di Mosca e di Rostov, mentre il principe Dimitri si rivolse a lui per avere la benedizione prima della battaglia campale contro i Tatari a Kulikovo, presso Mosca. Altre missioni lo impegnarono finché fece ritorno al monastero della Trinità, dove la molte lo colse il 25 settembre 1395. Il monastero divenne con gli anni meta di numerosi pellegrinaggi. Nel 1744 fu scelto come sede del Patriarcato russo, e vi fu trasferita la scuola teologica. Chiuso al culto nel 1918 a causa della Rivoluzione d’Ottobre, e trasformato in museo, il complesso monastico fu riaperto nel 1946.
mercoledì 24 settembre 2014
Servo di Dio Carlo Acutis
Forse un giorno, neppur troppo lontano, avremo un santo, regolarmente canonizzato, come patrono di internet e protettore di tutti i cybernauti. Già ora abbiamo un valido intercessore in Carlo Acutis, un ragazzo di 15 anni “patito” di internet come i suoi coetanei ma, a differenza di tanti di loro, convinto che debba diventare “veicolo di evangelizzazione e di catechesi”.
Santo del giorno
La festa della beata Vergine della Mercede è legata alle vicende che spinsero san Pietro Nolasco a fondare l’Ordine della Mercede. Nel 1203, profondamente commosso dalla condizione miserabile dei cristiani fatti schiavi dai Mori, che allora erano padroni di gran parte della Spagna, si trasformò in mercante riuscendo a liberare col suo denaro trecento schiavi. Poi si unì ad altri nobili e generosi giovani per raccogliere offerte e ripetere ogni anno i riscatti. Ed ecco la svolta decisiva: nella notte dal 1° al 2 agosto 1218, gli apparve la Madonna che lo incoraggiò a fondare un Ordine che si dedicasse alle opere di misericordia e specialmente alla redenzione degli schiavi. Nacquero così i Mercedari: uno di loro, se le somme raccolte si rivelavano insufficienti per liberare uno schiavo, si sostituiva a lui. L’Ordine è tuttora attivo anche in Italia: a Cagliari, i Mercedari gestiscono il santuario della Madonna di Bonaria. Da loro la beata Vergine era onorata fin dagli inizi in Aragona e in Catalogna sotto il titolo “della Mercede”. Nel formulario liturgico del 24 settembre situato nella Raccolta di messe della beata Vergine Maria definita nel 1986, Cristo è presentato come il “Redentore del mondo”, che con il suo sacrificio ci ha conquistato la “libertà filiale”, e Maria è la serva del Signore, avendo dedicato tutta se stessa alla “missione redentrice del Figlio”. Come l’antica Giuditta con grande coraggio liberò il popolo dall’assedio di Oloferne, così Maria, nuova Giuditta, lottò con l’antico serpente, procurando la salvezza al popolo d’Israele e a tutta la Chiesa. La Vergine stette salda sotto la croce di Cristo “come generosa compagna della (sua) passione”; dichiarata madre dei discepoli del Figlio “con materna sollecitudine si china su di essi “che gemono nell’oppressione e nell’angoscia, perché spezzi i ceppi di ogni schiavitù, riacquistino la piena libertà del corpo e dello spirito”. Papa Innocenzo XII, nel 1696, estese questa festa a tutto il rito romano.
martedì 23 settembre 2014
Santo del giorno
Attorno all’itinerario umano e spirituale di Padre Pio da Pietrelcina si è realizzata una delle più popolari e sconvolgenti esperienze di devozione popolare: per un cinquantennio, dal 1918 al 1968, senza mai spostarsi dal convento di Santa Maria delle Grazie a San Giovanni Rotondo, in provincia di Foggia, questo frate stigmatizzato ha attratto generazioni di italiani e di stranieri soprattutto attorno al suo confessionale, dove il dono che più colpiva era quello dell’introspezione, cioè della capacità di leggere nelle coscienze e di rivelarne anche gli aspetti più segreti. Nato il 25 maggio 1887 a Pietrelcina (Benevento) in una famiglia di contadini, nel 1906 entrò fra i Cappuccini e venne ordinato sacerdote nel 1910. Il 20 settembre 1918 gli comparvero le stimmate (cinque ferite, alle mani, ai piedi e al costato) che avrebbero procurato al religioso fama, seguito, dolore e polemiche. Un giudizio critico su di esse (senza averle viste) di padre Agostino Gemelli, e le accuse false di alcuni detrattori guidati dall’arcivescovo di Manfredonia, Gagliardi, spinsero il Sant’Uffizio ad imporre al frate una serie di misure restrittive: dovette cambiare direttore spirituale, gli fu impedito di scrivere lettere e di mostrare le stimmate o di parlarne e gli imposto di celebrare messa da solo. Lui accettò sempre in piena obbedienza tutte le misure, mentre cresceva la fama della sua santità, supportata da episodi miracolosi come previsioni del futuro, guarigioni improvvise e inspiegabili, clamorose bilocazioni. Ritenendo sua missione condividere la sofferenza del Crocifisso e alleviare il dolore della gente riavvicinandola a Dio, padre Pio realizzò a San Giovanni Rotondo un ospedale di eccellenza (la Casa Sollievo della Sofferenza), mentre in tutti i continenti sorsero gruppi di preghiera ispirati da lui. Quando morì, il 23 settembre 1968, le stimmate erano scomparse, lasciando le parti interessate completamente sane. Giovanni Paolo II lo ha canonizzato il 16 giugno 2002.
lunedì 22 settembre 2014
Santo del giorno
Il santo che ricordiamo oggi nasce a Santhià, presso Vercelli, nel 1686. Un suo fratello sarà medico, un altro notaio e lui a 24 anni è sacerdote a Vercelli, preparato dai Gesuiti e dai Domenicani. Diventa precettore dei figli dei nobili Avogadro, i quali lo fanno nominare parroco nella vicina Casanova Elvo. Ma questa parrocchia don Belvisotti (questo il suo cognome) non la vedrà mai perché egli sparisce prima di entrarvi, mandando poi una lettera di rinuncia firmata con un nome nuovo, fra Ignazio da Santhià. Dopo il noviziato tra i Cappuccini di Chieri gli furono affidati diversi compiti mentre passava da un convento all’altro del Piemonte (Chieri, Saluzzo, Mondovì oltre Torino). Nella carica di maestro dei novizi, da lui tenuta per quattordici anni, fu un vero modello di perfezione religiosa per numerosi giovani, che trovarono in lui un padre e un maestro nell’apprendimento e nell’osservanza esemplare della regola, che irradiava serenità attorno a lui. A Torino, il suo confessionale era sempre affollato dai fedeli che salivano al Monte (dove c’è tuttora il convento dei Cappuccini) per incontrare il frate che aveva «la gioia del paradiso in faccia» e che era sempre disponibile per chi desiderava incontrarlo, pronto a recarsi lui da quelli che non potevano muoversi, per il rito della “benedizione”. Intanto, egli si andava facendo sempre più curvo mentre non ci vedeva quasi più, ma si trascinò ugualmente sulle sue strade fino all’ultimo. Peggiorata la sua salute in seguito a una brutta caduta, si spense il 21 settembre 1770. Alla notizia della sua morte, una folla di torinesi assediò il convento e la chiesa, bloccando tutto e obbligando i frati a celebrare di notte il rito della sepoltura. La fama della santità e i numerosi prodigi attribuiti alla sua intercessione fecero presto avviare il processo apostolico che portò alla beatificazione ad opera di Paolo VI il 17 aprile 1966, e alla canonizzazione il 19 maggio 2002 ad opera di Giovanni Paolo II.
domenica 21 settembre 2014
Catechismo
Santo del giorno
Il primo autore di un Vangelo (da Marco e Luca chiamato Levi, non Matteo), era un funzionario che riscuoteva le imposte per l’Impero romano e per i principi locali. Ma un giorno incontrò Gesù che gli disse: «Seguimi!» ed egli si alzò e non lo lasciò più: da allora la sua esistenza mutò radicalmente. Cominciò a scrivere il suo vangelo per i giudei di Palestina, versati nelle Scritture, allo scopo di dimostrare che Gesù è il Messia e realizza le profezie contenute nell’Antico Testamento. Non conosciamo con certezza le regioni evangelizzate dall’apostolo dopo la sua partenza dalla Palestina. Alcuni indicano l’Etiopia, altri la Persia, il Ponto la Siria, la Macedonia e persino l’Irlanda. Incerto è anche il genere della sua morte: diverse, al riguardo, sono le passiones apocrife, la più comune delle quali narra della conversione del re Egipo e di tutto il suo regno, l’Etiopia, ad opera di Matteo che aveva risuscitato la figlia del re, Ifigenia. Morto Egipo, il suo successore, Hirtaco, pretendeva di sposarne la figlia la quale, per consiglio dell’evangelista, aveva consacrato a Dio la sua verginità. Il monarca voleva che il santo la inducesse a cedergli, ma questi non lo assecondò e Hirtaco, infuriato per il rifiuto, fece uccidere Matteo mentre celebrava la Messa. Ifigenia, dal canto suo, donò al clero quanto possedeva di prezioso, per costruire una basilica dedicata all’apostolo e fare dei doni ai poveri. Non si sa quando le reliquie di Matteo furono sbarcate a Paestum; è certo comunque che nel 954 erano custodite a Salerno. Poi, a causa delle tristi vicende dell’epoca, su di esse subentrò l’oblio. Nel 1080 il corpo fu però ritrovato e posto nella cripta dell’artistica cattedrale costruita da papa Gregorio VII. Matteo è stato sempre oggetto di viva venerazione da parte della gente campana. Il Martirologio Romano ha fissato la sua festa liturgica al 21 settembre, e insieme commemora santa Ifigenia vergine, riprendendone la nota leggenda.
sabato 20 settembre 2014
CONCERTO di GIOSY CENTO
Orari Sante Messe
GIORNI FERIALI: 17.30 (ora solare) / 18.30 (ora legale)
GIORNI FESTIVI: 9.30 – 11.15 – 17.30 (ora solare) / 9.30 – 11.15 – 18.30 (ora legale)
GIORNI FESTIVI: 9.30 – 11.15 – 17.30 (ora solare) / 9.30 – 11.15 – 18.30 (ora legale)
Santo del giorno
Giovanni Paolo II, in occasione del viaggio apostolico che fece in Corea per commemorare il bicentenario dell’introduzione del cattolicesimo nel paese (1784-1984), a Seoul il 6 maggio 1984 canonizzò 103 martiri, fissandone la memoria liturgica al 20 settembre. Otto di loro erano sacerdoti, tre vescovi, 45 laici di tutte le categorie sociali, mentre 47 erano le donne, tra sposate e nubili. Di essi, 79 erano stati beatificati da Pio XI nel 1925 e 24 da Paolo VI nel 1968. Il cattolicesimo in Corea fu introdotto nel secolo XVIII da membri della delegazione coreana che ogni anno si recava a Pechino per pagare all’imperatore della Cina il tributo stabilito. Nella capitale svolgevano un intenso apostolato i Gesuiti. A contatto coi missionari e mediante la lettura di libri religiosi da loro diffusi, aprirono il loro animo alla fede. Il 25 gennaio 1802, il re della Corea promulgò un editto contro i seguaci di quella che considerava «dottrina esecrabile e perversa»; editto che per ottant’anni fu considerato legge fondamentale dello stato. I circa 10.000 cattolici allora esistenti, pur essendo senza sacerdoti, non si piegarono alle ingiunzioni dei mandarini e non rinnegarono la propria fede, a costo di essere imprigionati, bastonati, torturati, spogliati di ogni avere e uccisi. Altri editti, confermanti il primo, furono emanati nel 1839 dal re Hen Tjong e nel 1866 dal re Ri-Htai-oang. Molti cristiani, per vivere in pace, fuggirono nella solitudine o si ritirarono tra i monti. A leggere le cronache della morte di questi martiri (circa 2000, appartenenti a tutte le condizioni sociali) si rimane edificati dal coraggio e dalla serenità dimostrati sia durante gli interrogatori, che erano accompagnati da feroci bastonature alle gambe, sia al momento dell’esecuzione quando, spogliati delle vesti, venivano cosparsi di acqua e calce sul viso mentre due frecce venivano
venerdì 19 settembre 2014
Santo del giorno
La leggenda fa di san Gennaro un vescovo di Benevento martirizzato sotto Diocleziano (probabilmente nel 305). Si dice che, poco dopo la sua decapitazione, una donna si avvicinò e, seguendo una pia usanza dell’epoca, raccolse con una spugna un po’ di sangue del vescovo e lo versò in due piccole ampolle di vetro. Certamente non immaginava di essere lo strumento di un fatto sconvolgente, che ancora oggi solleva tanti interrogativi. La tomba del martire fu subito meta di pellegrinaggi e molti sostenevano di avere ottenuto miracoli per sua intercessione; ma le reliquie del santo, trafugate verso l’831 e portate a Benevento e da qui nel cenobio di Montevergine, poterono tornare a Napoli solo nel 1497, custodite in duomo nel “Succorpo” sotto il presbiterio. Nel frattempo però, da alcuni decenni la devozione popolare aveva subito una svolta radicale: il 17 agosto 1389, in un momento assai drammatico per Napoli, coinvolta nelle lotte dinastiche angioine e nello scisma avignonese, e in più afflitta da un’acuta carestia, il vescovo aveva ordinato che venisse esposta in duomo la teca con le ampolle che contenevano il sangue del martire; improvvisamente, sotto gli occhi di migliaia di persone, quel sangue rappreso si sciolse. Da allora le feste liturgiche del santo furono sempre legate all’esposizione delle ampolline e al fenomeno della liquefazione, che con regolarità straordinaria si ripete nelle date fisse. Il culto del sangue di Gennaro è stato spesso tacciato di fanatismo mentre, a detta di alcuni scienziati, la liquefazione del sangue nelle ampolle sfugge alle fondamentali leggi della fisica. Dopo il Vaticano II, la Chiesa napoletana nella prassi pastorale ha disciplinato severamente le cerimonie dell’esposizione della reliquia, preoccupandosi di frenare ogni eccesso devozionistico, senza peraltro disconoscere espressioni sincere di partecipazione popolare, come quella del gruppo di donne dette “parenti di san Gennaro”.
giovedì 18 settembre 2014
Santo del giorno
Nato a Copertino (Lecce) il 17 giugno 1603, quello che è chiamato il “santo dei voli” fu educato tra continui stenti in una famiglia povera e ben presto egli avvertì la vocazione religiosa, ma i Minori conventuali non lo accettarono per la scarsa formazione scolastica, e lo stesso fecero i Minori riformati. Egli entrò allora fra i Cappuccini di Martina Franca, ma prima che terminasse il noviziato fu dimesso per inettitudine. Poi però, tramite uno zio conventuale, fu accettato nel convento della Grottella come terziario e inserviente. Le sue doti e la buona volontà dimostrata convinsero i superiori a includerlo tra i novizi e ad ammetterlo agli studi in vista del sacerdozio, che ricevette il 18 marzo 1628. Verso il 1630 fra Giuseppe cominciò ad avere le prime estasi nella chiesa del convento, con levitazioni pubbliche che richiamarono presto numerosi fedeli e insospettirono l’inquisitore di Napoli che, nel 1638, convocò il frate per rendersi conto del suo comportamento: ma anche a Napoli si ripeterono i voli al cospetto degli stessi giudici ecclesiastici e il santo fu assolto: gli fu però proibito di tornare alla Grottella. Fu mandato nella comunità si Assisi, dove rimase per 14 anni e dove continuarono a ripetersi le estasi e le levitazioni. Fatti non ancora chiariti imposero bruscamente, nel 1653, per ordine del Sant’Uffizio, il suo trasferimento al conventino dei cappuccini di S. Lazzaro a Pietrarubbia, dove doveva essere custodito come in carcere: poteva uscire di cella solo per la celebrazione della messa. Ma anche qui i fenomeni mistici si ripeterono attirando fedeli dalle regioni vicine. Finalmente, nel 1656, Alessandro VII acconsentì al ritorno del religioso nella sua comunità di S. Francesco a Osimo, dove rimase fino alla morte, avvenuta il 18 settembre 1663. La sua tomba fu subito meta di pellegrinaggi e nel 1664 cominciarono i processi che portarono alla beatificazione (nel 1753) e alla canonizzazione dell’umile frate il 16 luglio 1767.
mercoledì 17 settembre 2014
Storia di Chiara Corbella Petrillo
«Mi chiamo Chiara sono cresciuta in una famiglia cristiana che sin da bambina mi ha insegnato ad avvicinarmi alla fede.
Quando avevo 5 anni mia madre cominciò a frequentare una comunità del Rinnovamento dello Spirito e così anche io e mia sorella cominciammo questo percorso di fede che ci ha accompagnato nella crescita e mi ha insegnato a pregare e a rivolgermi in maniera semplice a Gesù come ad un amico a cui raccontare le mie difficoltà e i miei dubbi, ma soprattutto mi ha insegnato a condividere la fede con i fratelli che camminavano con me.
Santo del giorno
Nato il 4 ottobre 1542 a Montepulciano da famiglia nobile, a diciotto anni entrò nel noviziato gesuita di Sant’Andrea al Quirinale, a Roma. Compì gli studi di filosofia al Collegio Romano e quelli di teologia a Padova e a Lovanio dove, appena ordinato sacerdote, fu destinato all’insegnamento della teologia con il compito anche di predicare in latino agli universitari. A Lovanio il clima era surriscaldato per le teorie di Michele Baio, che non erano molto diverse da quelle dei riformatori. Bellarmino iniziò i suoi corsi prendendo come libro di testo la Summa theologiae di san Tommaso d’Aquino e il successo fu immediato. Con carità e grazie alla sua conoscenza sbalorditiva della teologia confutò la dottrina del Baio che più tardi abiurò i suoi errori. Nel 1576, essendo stata istituita nel Collegio Romano una cattedra di Controversie, il Bellarmino fu chiamato ad esserne il primo maestro. Le sue lezioni, frequentate da un pubblico cosmopolita, ebbero vastissima risonanza in tutta Europa. Tra il 1586 e il 1593 pubblicò le famose Disputationes de Controversiis Christianae Fidei, che ebbero un grande successo: esse costituiscono una solida difesa della dottrina cattolica secondo un procedimento basato sulla Scrittura, i Padri della Chiesa e la storia, e si possono definire una Summa teologica di nuovo stile, poiché attingono direttamente alle fonti con abbondanza, pertinenza e chiarezza esegetica. Nel 1592 fu eletto rettore del Collegio Romano, due anni dopo superiore della provincia gesuitica di Napoli, poi richiamato a Roma da Clemente VIII come consultore del Sant’Uffizio. Nel 1599 fu creato cardinale e nel 1602 arcivescovo di Capua, ma dopo tre anni il nuovo papa Paolo V lo volle ancora a Roma per importanti incarichi. Prevedendo la morte, il santo ottenne dal Pontefice di trasferirsi nel noviziato dei Gesuiti, dove si spense, recitando il Credo e invocando il Signore, il 17 settembre 1621. Pio XI lo beatificò nel 1923 e lo canonizzò nel 1930, dichiarandolo, l’anno dopo, dottore della Chiesa.
martedì 16 settembre 2014
Santo del giorno
La commemorazione nello stesso giorno di questi due martiri è antica, perché già presente nel martirologio Geronimiano. Cornelio fu eletto papa nel 251 e governò la Chiesa solo per due anni; fu difeso da san Cipriano nello scisma rigorista di Novaziano, prete romano che lo accusava di cedimenti nella questione dei lapsi, cioè degli apostati caduti che ritornavano alla Chiesa senza però voler sottoporsi alla penitenza, accontentandosi di “certificati” di riconciliazione loro concessi dai “confessori” della fede. Non si sa nulla delle sue origini, ma forse apparteneva alla grande famiglia dei Cornelii. Dopo la peste che si abbatté sull’impero romano nel 252-254 e di cui furono accusati i cristiani per aver provocato la collera degli dèi, l’imperatore Gallo scatenò una persecuzione, che però fu benigna, perché Cornelio fu esiliato a Civitavecchia (Centumcellae, il porto di Roma) dove morì. Fu sepolto nelle catacombe di san Callisto a Roma. Cipriano, nato a Cartagine verso il 210, fino ai 25 anni aveva esercitato la professione di retore e di avvocato, poi si convertì e fu battezzato nella Pasqua del 246. Morto il vescovo Donato, egli fu eletto a succedergli nella sede metropolitana di Cartagine, che aveva il primato su circa 150 vescovi. Fu coinvolto anch’egli nella disputa sui lapsi e dovette lottare contro il prete Novato (sostenitore dell’antipapa Novaziano) e contro il diacono Felicissimo (che aveva eletto come antivescovo Fortunato), i quali avevano consumato lo scisma. Cipriano riunì nel 252 il concilio di Cartagine che condannò i due, e papa Cornelio ne approvò la scomunica. Ci furono invece degli screzi con papa Stefano, durante un altro concilio a Cartagine nel 256, sul ri-battesimo degli eretici e degli scismatici, ma la questione fu poi risolta pacificamente da Sisto II. Cipriano morì durante la persecuzione di Valeriano; prima esiliato a Curubis e, dopo il ritorno a Cartagine, nuovamente processato, fu decapitato il 14 settembre 258.
lunedì 15 settembre 2014
Santo del giorno
La devozione privata ai sette dolori della Vergine ha preceduto di molto la festa liturgica. Questa devozione venne di moda soprattutto a partire dal secolo XV; ricordiamo, per esempio, le innumerevoli immagini chiamate “Pietà” che rappresentano Maria che sostiene sulle ginocchia il Figlio deposto dalla croce. I dolori della Vergine, che furono poi fissati in numero di sette, corrispondono ad altrettanti momenti del Vangelo particolarmente dolorosi per la madre del Redentore: 1. La profezia del vecchio Simeone; 2. La fuga in Egitto; 3. La scomparsa di Gesù per tre giorni fino al suo ritrovamento nel tempio; 4. Gesù che porta la croce al Calvario; 5. La crocifissione e l’addio di Gesù dalla croce; 6. Gesù viene staccato dalla croce; 7. La deposizione nel sepolcro. Dal secolo XV in poi, alcune Chiese incominciarono a celebrare nella liturgia la “compassione” di Maria ai piedi della croce. I religiosi Servi di Maria (Serviti) – ottennero nel 1667 l’approvazione della celebrazione dei sette Dolori; la festa, sotto il pontificato di Pio VII, entrò a far parte del calendario romano e san Pio X, nel 1913, ne fissò la data al 15 settembre. Nei periodi tardomedioevale e moderno emerge il fenomeno delle lacrimazioni mariane; nel 1489 Pennabilli, nelle Marche; nel 1494 ad Assisi, nel 1522 a Treviglio, nel 1553 a Dongo, dove le immagini di Maria che lacrima danno origine a santuari. Non occorrerà attendere molto per trovare le prime lacrimazioni di sangue: quella di una immagine a Ponte Nossa (Bergamo) nel 1511, quella di Rho (Milano) nel 1583 e quella avvenuta nel 1598 a Mesagne (Brindisi). Nei secoli seguenti si alternano apparizioni della Madonna piangente e lacrimazioni di statuette: le più note, anche perché approvate dall’autorità ecclesiastica, sono l’apparizione di La Salette, sulle Alpi francesi nel 1846, e l’evento di Siracusa, dove un quadretto del Cuore immacolato di Maria ha pianto per 4 giorni nel 1953.
domenica 14 settembre 2014
Santo del giorno
Il 13 settembre del 335 avvenne a Gerusalemme la dedicazione delle due basiliche costantiniane: quella del Martyrion, sul Golgota, chiamata pure ad Crucem, e quella della Anàstasis, cioè della risurrezione. Il giorno seguente, il 14, venne esposta la reliquia della Croce, che era stata trovata, secondo quanto si dice, pure un 14 settembre. La partecipazione della regina Elena, madre di Costantino, a questa “Invenzione” è considerata leggendaria, anche se ne parlano Socrate Scolastico, nato nel 380 circa, e Sozomeno, morto nel 450 circa, ciascuno nella propria Storia ecclesiastica. Secondo questo racconto Macario, vescovo di Gerusalemme, fece porre le tre croci una per volta sopra il corpo di una donna gravemente malata, la quale guarì perfettamente al tocco della terza croce, che venne identificata come quella di Cristo. Nel secolo VII troviamo questa festa in Occidente, dove il termine greco hypsòsis venne tradotto con exaltatio, esaltazione. In Occidente, questa exaltatio viene messa in relazione con il recupero della preziosa reliquia che era stata trafugata nel 614, dopo la conquista di Gerusalemme, da Cosroe II, re persiano, ed era stata poi riportata a Costantinopoli dall’imperatore bizantino Eraclio il 3 maggio del 628. La croce venne persa definitivamente nel 1187, quando l’esercito cristiano fu messo in rotta dal Saladino, non senza però che prima alcune parti di essa si diffondessero per il mondo cristiano. Sicuramente fu presa dai musulmani e nelle cronache islamiche si ricorda che il Saladino ne rifiutò la restituzione ai rappresentanti cristiani che gliela chiedevano, sostenendo che Gesù nell’Islam è considerato un grandissimo profeta, degno di essere ricordato. Con la festa odierna, la Chiesa ci ricorda che, attraverso la follia della Croce, il dolore, la morte, la malattia, le avversità possono diventare sapienza e la gloria promessa a Gesù può essere condivisa da tutti coloro che desiderano seguirlo.
sabato 13 settembre 2014
Non c’è più tempo per perdere tempo
Nel frenetico susseguirsi di tutte le nostre
occupazioni, non ci rendiamo conto dello scorrere del tempo. Il tempo è un
enorme dono di Dio ed ogni nuova giornata ne è il segno evidente. Ma che
facciamo del nostro tempo? Ogni istante che passa va a sprofondarsi
nell’eternità pieno di quello di cui l’abbiamo riempito.
Santo del giorno
Il soprannome Crisostomo «bocca d’oro», ci dice l’eloquenza di questo Dottore della Chiesa: Giovanni d’Antiochia, nato in Siria dove la famiglia si era trasferita per seguire la carriera dal padre funzionario imperiale, dopo i 18 anni si immerge nello studio della Bibbia, prima in comunità e poi, per lunghi anni, in solitudine. Sembra votato alla vita eremitica, ma il suo vescovo lo ordina sacerdote nel 386 e gli affida la predicazione, che è la sua strada, armato com’è di sapienza biblica: spiegata da lui, la Scrittura arriva al credente come un messaggio personale di stimolo, di ammonimento e di guida, o talvolta come pugno nello stomaco, perché lui va sempre giù deciso contro ipocrisie e corruzione. Così diventa presto popolarissimo. Nel 398 è consacrato Patriarca di Costantinopoli, la capitale orientale dell’Impero. L’effetto della sua predicazione è straordinario: egli parla dei primi cristiani che ignoravano «gelide parole come tuo, mio», entusiasma i ceti popolari e il clero più integro col pronto aiuto ai poveri, con gli ammonimenti all’alto clero a alla corte per i loro vizi e con la durezza contro gli abusi di preti e monaci. Lo seguono molti vescovi, ma altri lo osteggiano ottenendo l’appoggio dell’imperatrice Eudossia; così, per iniziativa di un’assemblea di vescovi, prontamente accolta dalla corte, nel 404 Giovanni viene esiliato, prima in Bitinia, poi in Armenia, e infine ai piedi del Caucaso, mentre il clero a lui fedele è spodestato e perseguitato. Muore il 14 settembre 407. Durante l’esilio si era dedicato a scrivere, non solo lettere, ma opere in aggiunta a quelle composte in gioventù: sulla vita monastica, sulla compunzione, sul sacerdozio, la vedovanza e la verginità, sull’educazione dei figli, sulla Provvidenza di Dio. Per non parlare dei sermoni, delle omelie anche apologetiche, delle catechesi mistagogiche; un complesso che fa di lui, tra i Padri greci, quello che ha lasciato l’eredità letteraria di più vaste proporzioni.
venerdì 12 settembre 2014
Santo del giorno
Il nome di Maria, già frequente nel mondo ebraico (Myriam), è senza dubbio il più diffuso tra i popoli cristiani: esso è attribuito anche a uomini come aggiuntivo: Carlo Maria, Alberto Maria, Giovanni Maria, ecc. Ad esso si intitolano molte chiese, associazioni e luoghi. La riforma liturgica postconciliare ha declassato questa festività a “memoria facoltativa”, in pratica depennandola dal calendario, ma il nome di Maria viene ugualmente onorato con un formulario della Raccolta di messe della beata Vergine Maria. In tale messa, il Padre viene glorificato per il “nome di Maria”, cioè per la persona della Madre di Gesù e per la sua missione nella storia della salvezza. Il nome della Vergine è riconosciuto glorioso perché, come quello di Giuditta, è «tanto esaltato che sulla bocca di tutti sarà sempre la sua lode» ; santo, perché designa la Donna «ricolmata di grazia» per concepire e dare alla luce il Figlio di Dio; materno, poiché il Cristo morente sulla croce ci ha lasciato per madre la sua stessa Madre, per cui i fedeli sperimentano «la dolcezza del suo nome»; provvido, perché il popolo cristiano «la invoca come Madre, guarda a lei come fulgida stella nei pericoli e ricorre a lei come a sicuro rifugio». Di Maria ci parlano i quattro Vangeli quando ci raccontano la venuta di Cristo nel mondo. Anche il Corano la nomina 70 volte, oltre alla “sura” 19 che parla dell’annuncio fattole dall’arcangelo Gabriele. I più antichi segni finora noti della venerazione della Madre di Gesù sono i graffiti di Nazaret, scoperti durante gli scavi compiuti nel 1955-66 sul luogo tradizionale dell’Annunciazione. Si tratta di due iscrizioni greche risalenti al II-III secolo, di cui la prima, KE MAPIA (chaire Maria) riprende il saluto dell’angelo aggiungendo il nome di Maria e assume il significato di un’invocazione. La seconda iscrizione è la testimonianza di una devota pellegrina che assicura di aver compiuto un gesto di omaggio a Maria o alla sua icona.
giovedì 11 settembre 2014
Santo del giorno
E’ il primo martire in Cina ad essere innalzato all’onore egli altari. Nato il 6 gennaio 1802 a Puech (diocesi di Cahors), nel 1816 entrò nel seminario dei Preti della Missione (Lazzaristi) a Montauban per essere di compagnia per qualche tempo al fratello Luigi, ma finì per rimanervi definitivamente, sentendosi attratto dalla vita religiosa. Emise i voti nel 1820 e, dopo gli studi teologici a Parigi, fu ordinato sacerdote il 23 settembre 1825. Nel 1832 venne richiamato a Parigi come vicedirettore dei novizi. Poiché l’anno prima era morto suo fratello presso Batavia, mentre era in viaggio verso le missioni cinesi, egli chiese ed ottenne di prendere il suo posto. Nel 1835 era a Macao, dove si fermò qualche mese per intraprendere lo studio della lingua cinese, poi raggiunse la provincia centro-meridionale di Honan, di cui fu nominato vicario generale. Dopo un anno e mezzo di estenuante lavoro, fu trasferito in un distretto della vicina provincia di Hupeh. Pochi mesi dopo, sopraggiunta la persecuzione anticattolica, il santo fu costretto a nascondersi, ma venne tradito e denunciato da un cristiano sedotto dalla taglia che era stata posta dal governo sul missionario. Dopo una serie di snervanti interrogatori, accompagnati da crudeli torture, essendosi rifiutato di rinnegare la propria fede venne rinchiuso nelle malsane carceri di Wuchang, rimanendovi per otto mesi fra atroci sevizie e sofferenze, in attesa che fosse ratificata dall’imperatore la condanna capitale pronunciata contro di lui dal vicerè. La ratifica arrivò l’11 settembre 1840. Il missionario era stato invitato dal tribunale, alla presenza del vicerè, pena la morte, a calpestare il crocifisso: ma lui, sereno, aveva compiuto il gesto supremo dell’Apostolo, inginocchiandosi a baciarlo. Morì legato su un patibolo a forma di croce, strozzato da una corda. I cristiani fedeli gli diedero sepoltura nel luogo della sua predicazione, fino a quando ne furono traslati i resti a Parigi nella casa madre dei Lazzaristi. Beatificato nel 1889 da Leone XIII, è stato canonizzato da Giovanni Paolo II il 2 giugno 1996.
mercoledì 10 settembre 2014
Santo del giorno
Nicola da Tolentino, un santo popolarissimo non soltanto nelle Marche, ma in tutta Italia, è un asceta, un severo penitente che, contrariamente a quanto si potrebbe credere, sapeva trasfondere gioia. Nato nel 1245 a Castel Sant’Angelo in Pontano, nel Maceratese, sugli undici-dodici anni entrò come oblato – cioè senza obbligo di voti - tra gli Eremitani di Sant’Agostino. Più tardi venne accolto nell’Ordine e, dopo il noviziato a San Ginesio, completò gli studi di teologia a Tolentino e a Cingoli, dove fu ordinato sacerdote nel 1269. Da allora la comunità agostiniana di Tolentino divenne centro di irradiazione di un apostolato instancabile nel territorio marchigiano tra i vari conventi dell’Ordine che lo accoglievano nel suo itinerario di predicatore. Anche le regole monastiche più severe alleggeriscono di solito certi obblighi (lunghe preghiere, digiuni) per chi è in viaggio o è costretto fuori sede; lui invece non si fece mai sconti, alternando le preghiere alle penitenze più rigide: si batteva, soprattutto il venerdì, con verghe e flagelli; non mangiò mai carne, uova, latticini e frutta; il solo cibo fu verdura e brodaglia di legumi senza condimento; digiunava a pane e acqua il lunedì, mercoledì, venerdì e sabato e durante la Quaresima tutti i giorni eccetto la domenica. Il santo è anche una delle figure più significative tra gli apostoli del confessionale, dove passava lunghe ore ad ascoltare i penitenti, in Quaresima dall’alba fino all’ora di vespro senza nutrirsi. Per i poveri, i malati e i disperati era sempre disponibile: non gli bastava “portare” aiuto, voleva “essere” l’aiuto, anche con la sua persona, grazie alla sua capacità di promotore della comunicazione e della convivenza. Morì a Tolentino il 10 settembre 1305. Nonostante la diffusa fama di miracoli ottenuti per sua intercessione, la canonizzazione, a causa delle vicende della Chiesa (l’esilio del papa ad Avignone e lo Scisma d’Occidente) si ebbe soltanto il 5 giugno 1446.
martedì 9 settembre 2014
Eventi della Parrocchia
Questa sera 09/09/2014 e domani sera 10/09/2014 nella nostra parrocchia, dalle ore 18.00 alle ore 22.30, ci sarà l'assemblea diocesana.
Luca era gay dalla voglia di suicidarsi alla creazione di una famiglia
"Dio non ha mai smesso di farmi la corte."
Questa la sensazione che ha portato un giovane dal continuo desiderio di farla finita alla voglia di vivere, far crescere la propria famiglia ed aiutare gli altri. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dall'inizio. Luca è un bimbo cresciuto senza padre che ha ricevuto solamente cure femminili e della mamma ha assorbito i modi di fare tanto da esser considerato da subito il classico "effemminato".
Questa la sensazione che ha portato un giovane dal continuo desiderio di farla finita alla voglia di vivere, far crescere la propria famiglia ed aiutare gli altri. Ma riavvolgiamo il nastro e partiamo dall'inizio. Luca è un bimbo cresciuto senza padre che ha ricevuto solamente cure femminili e della mamma ha assorbito i modi di fare tanto da esser considerato da subito il classico "effemminato".
Santo del giorno
Nato nel 1580 in Catalogna da famiglia profondamente cristiana, entrò nella Compagnia di Gesù a Tarragona e compì gli studi di filosofia a Palma de Maiorca nel collegio Montesión, dove il santo portinaio Alfonso Rodriguez esercitò su di lui una profonda influenza, che fu determinante per la vita religiosa e la sua vocazione missionaria. Iniziò gli studi di teologia a Barcellona, completandoli poi a Cartagena in Colombia, dove fu ordinato sacerdote nel 1616. Venne poi scelto per la nuova missione a Nuova Granada, incaricato dell’apostolato presso gli schiavi negri: uomini, donne e fanciulli strappati alla loro terra che affluivano ogni anno a decine di migliaia, trattati con brutalità, esposti ad ogni sorta di sevizie e mutilazioni, senza alcuna cura sanitaria, oggetto di crudeltà e di immoralità dei loro padroni. Nell’aprile 1622, nel fare la professione definitiva, volle aggiungere ai classici tre voti di povertà, castità e obbedienza un quarto voto, quello di lavorare interamente alla conversione dei negri, definendosi “Petrus Claver Aethiopum semper servus”. Cercava di far fronte a tutti i bisogni corporali e spirituali degli chiavi di ogni età, dei prigionieri e dei condannati a morte, del malati e dei lebbrosi. Nutriva, curava, consolava, portava alla fede i pagani (si dice che ne battezzò circa trecentomila), non limitandosi al solo battesimo, ma facendosi apostolo della Comunione frequente e diffondendo la devozione al Cristo sofferente e alla Vergine. Il tutto rafforzato dall’esempio di una povertà evangelica e di una severa penitenza corporale. Il Signore volle accordargli alcuni doni particolari, tra cui saper leggere nelle anime, prevedere il futuro e compiere guarigioni straordinarie. Morì a Cartagena, dopo una lunga malattia, l’8 settembre 1654. Beatificato nel 1851, fu canonizzato nel 1888 insieme al proprio “maestro” Alfonso Rodriguez. Leone XIII lo dichiarò nel 1896 patrono universale delle missioni tra le popolazioni nere.
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