"Il segreto della vita cristiana è l'amore. Solo l'amore riempie i vuoti, le voragini negative che il male apre nei cuori." Papa Francesco 8/10/2013

martedì 31 marzo 2015

Santo del giorno

Nato a Casamari presso Ravenna nella seconda metà del secolo X, fin da giovane si dedicò allo studio; poi un giorno, toccato dalla grazia del Signore, nella festa di S. Apollinare donò ai poveri i suoi abiti e, indossato un saio, andò pellegrino a Roma dove ricevette la tonsura e decise di recarsi in Terra Santa. Ma, tornato a Ravenna, si ritirò a vita solitaria sotto la guida dell’eremita Martino, abate di Pomposa. A un certo punto gli fu affidato l’incarico del governo di S. Severo in Ravenna e, dopo la morte di Martino e del suo successore, nel 998 fu eletto abate di Pomposa, attirandovi numerosi monaci e donazioni che gli consentirono di ingrandire l’intero complesso. La sua virtù e il suo impegno nel promuovere l’esatta osservanza della regola gli attirarono l’ostilità di alcuni monaci insubordinati, i quali riuscirono a convincere il vescovo di Ravenna a deporlo dalla carica. Guido non reagì, ma intensificò il digiuno e la preghiera. Il presule, quando giunse al monastero per procedere alla destituzione, si rese conto di come stavano le cose e confermò il santo nella carica. Questi governò Pomposa per circa mezzo secolo, portandola a un alto grado di vita spirituale e anche materiale, grazie ai buoni rapporti coi sovrani del tempo, riuscendo a contemperare lo stile cenobitico con quelle eremitico, e collaborando alla riforma ecclesiastica con san Pier Damiani. Nell’abbazia a quel tempo si trovava anche il monaco Guido d’Arezzo, l’inventore della notazione musicale scritta il quale, nonostante che l’abate fosse favorevole alle sue teorie, in seguito a discordie tra i confratelli fu costretto a lasciare Pomposa. L’Imperatore Enrico III, di ritorno da Roma dopo la sua incoronazione, invitò il santo a raggiungerlo a Piacenza, ma Guido si ammalò e dovette fermarsi a Borgo S. Donnino (l’odierna Fidenza) dove morì il 31 marzo 1046. Enrico ne fece trasportare il corpo a Spira, in Germania, dove gli fu intitolata la chiesa in cui riposa.

lunedì 30 marzo 2015

Maria Cristina Cella Mocellin (18 Agosto 1969 – 22 Ottobre 1995)

Non si può descrivere in poche righe la grandezza di una cristiana moglie e madre. Una vita breve, ma intensa, piena.  Lei però ci ha lasciato il suo diario, in cui conversava con Dio, e molte lettere.

Santo del giorno

San Leonardo Murialdo fu un grande apostolo della gioventù operaia, nonché fondatore della Società di S. Giuseppe, i cui membri sono più conosciuti come “Giuseppini del Murialdo”. Nato a Torino il 26 ottobre 1828, dopo aver studiato tra gli Scolopi di Savona avvertì la vocazione al sacerdozio e, conseguita la laurea in teologia, fu ordinato il 20 settembre 1851. Entrato in contatto con il Cafasso, con don Bosco e più tardi con il Cottolengo, si dedicò ad un multiforme apostolato predicando, confessando, insegnando catechismo nelle carceri minorili. Su invito di don Bosco, accettò la direzione dell’Oratorio S. Luigi, poi trascorse un anno a Parigi nel seminario di S. Sulpizio dove corroborò la sua vita interiore. Tornato in patria, gli fu chiesto di assumere la direzione del collegio degli “Artigianelli” fondato da don Cocchi per i giovani apprendisti, che versava in una difficile situazione economica: lui accettò “provvisoriamente”, rimanendovi per ben 37 anni, superando difficoltà di ogni genere e affidandosi sempre alla Provvidenza. E per assicurare stabilità al collegio fondò la Pia Società Torinese di S. Giuseppe che si diffuse prima nel Veneto e poi in tutta Italia e all’estero. La sua pedagogia si ispirava alla comprensione paterna, dando ai giovani largo respiro nella musica, nel teatro, nella ginnastica. Fu anche pioniere di colonie agricole per il recupero dei giovani sviati. Il contatto con la classe operaia fece di lui un precursore dell’azione sociale dei cattolici. Nominato dall’arcivescovo assistente ecclesiastico dell’Unione Cattolica Operaia, ne ampliò la rete organizzativa, dando vita a importanti forme di assistenza mutualistica e anticipando le moderne associazioni di tipo sindacale. Diffuse la buona stampa e fondò il settimanale La voce dell’operaio, tuttora edito in diocesi col titolo La voce del popolo. Morì il 30 marzo 1900; beatificato da Paolo VI nel 1963, fu da lui canonizzato il 3 maggio 1970.

venerdì 13 marzo 2015

Santo del giorno

Questo santo sacerdote, nato a Cordova verso la fine del secolo VIII, subì il martirio per colpa di uno dei suoi due fratelli che, avendo abbracciato l’islam, si era fatto propagatore accanito di questa religione, al punto che litigava spesso con l’altro fratello, rimasto fedele al cristianesimo e toccava a Rodrigo intervenire per fare da paciere tra i due. Una di queste accese discussioni finì con una furibonda mischia che Rodrigo cercò di sedare, ma i due contendenti, accecati dall’ira, si lanciarono contro di lui percuotendolo fino a fargli perdere i sensi. Il musulmano portò Rodrigo così ridotto per le vie del paese, dicendo che, sentendosi in fin di vita, aveva abbandonato il cristianesimo per seguire la dottrina di Maometto. Riavutosi dalla batosta, Rodrigo si ritirò per un certo tempo sulle montagne di Cordova. Poi un giorno, essendo sceso in città, incontrò il fratello apostata che, vedendolo con l’abito da prete, lo portò dal giudice e lo accusò di aver abbandonato l’islam dopo averlo liberamente scelto, delitto che andava punito con la morte. Rodrigo respinse la calunnia affermando che mai aveva tradito la religione cristiana e nonostante i tentativi del giudice per convincerlo a confessare Allah, ribadì coraggiosamente la sua fede. Messo in carcere, vi incontrò un cristiano di nome Salomone, detenuto per un’accusa simile alla sua, e insieme decisero di prepararsi al martirio con la preghiera e la penitenza. Il giudice tentò di farli recedere dalla loro fermezza, ma non essendoci riuscito li condannò a morire sgozzati. Dopo la sentenza, eseguita il 13 marzo 857, i due cadaveri furono issati sul patibolo a testa in giù, come racconta il suo biografo Eulogio che aveva assistito alla scena, e gettati nel fiume Guadalquivir. Dopo una ventina di giorni i corpi furono ritrovati e Rodrigo fu portato nella basilica di S. Genesio, mentre Salomone fu deposto in quella dei santi Cosma e Damiano. Il loro culto è tuttora vivo in Spagna e soprattutto a Cordova.

giovedì 12 marzo 2015

Santo del giorno

Colui che Pio XII chiamò «grande apostolo di carità, padre dei poveri, insigne benefattore dell’umanità afflitta» nacque a Pontecurone (diocesi di Tortona) il 23 giugno 1872. A 13 anni fu ammesso tra i Frati Minori di Voghera, ma dopo pochi mesi una polmonite lo costrinse a rientrare in famiglia. Ristabilitosi, nel 1886 per interessamento del parroco fu accolto a Torino nell’Oratorio salesiano, vivente ancora Don Bosco. L’impronta ricevuta dal santo non si cancellerà mai dal suo animo, spingendolo a occuparsi della gioventù. Dopo tre anni però, anziché farsi Salesiano, entrò in seminario a Tortona, dove poté continuare gli studi e pagare la retta lavorando come sagrestano e alloggiando in una stanzetta situata sopra il duomo. Lì scoprì la sua definitiva vocazione, cominciando ad occuparsi di un bambino che era stato allontanato dalla scuola di catechismo; a quello se ne aggiunsero altri, e così nel 1892 il giovane chierico inaugurò un oratorio dedicato a S. Luigi e l’anno dopo un collegio, subito frequentato da un centinaio di ragazzi. Il 13 aprile 1895 fu ordinato sacerdote e si dedicò alla predicazione, alle visite ai poveri e ai malati, alla lotta contro la massoneria e alla diffusione della buona stampa. In occasione del terremoto di Messina (1908), fu eletto da Pio X vicario generale di quella diocesi, prestandosi a tutti i soccorsi e raccogliendo gli orfani che inviava nei suoi istituti Lo stesso fece nel 1915 per i terremotati della Marsica. Per la direzione delle sue opere fondò la congregazione dei Figli della Divina Provvidenza e le Piccole Missionarie della Carità. Inoltre, per sostenerne l’apostolato con la preghiera, diede vita agli Eremiti della Divina Provvidenza e alle Suore Sacramentine, accogliendovi anche persone cieche. Mandò i suoi figli e le sue figlie in Brasile, in Argentina e in Palestina organizzandovi scuole, colonie agricole, parrocchie, orfanotrofi, case di carità dette “Piccolo Cottolengo”. Don Orione morì a San Remo il 12 marzo 1940. Giovanni Paolo II lo beatificò nel 1980 e lo canonizzò il 16 maggio 2004.

domenica 8 marzo 2015

Salviamo la famiglia

Dio li benedisse e Dio disse loro: siate fecondi e moltiplicatevi, riempite la terra” (Gen 1,28). Sono queste alcune delle parole scritte nella Genesi riguardo la Prima famiglia, Adamo ed Eva, creati dall’Amore di Dio.

Santo del giorno

Il fondatore dell’ordine ospedaliero dei “Fatebenefratelli” nacque a Montemor-o-Novo, in Portogallo, nel 1495, ebbe una vita travagliata fin verso i 40 anni, esercitando vari mestieri: pastore a Oropesa, in Spagna, dopo essere fuggito da casa per seguire uno strano personaggio (la mamma ne morì di crepacuore); contadino, soldato volontario (salvato per intervento di un notabile dall’impiccagione per essersi lasciato rubare il bottino del capitano dopo uno scontro vittorioso coi francesi); bracciante a Ceuta, in Marocco, e venditore di libri prima a Gibilterra e infine a Granada. Nel 1438, durante una predica di S. Giovanni d’Avila, l’apostolo dell’Andalusia, si converte in maniera tanto clamorosa da essere scambiato per pazzo e ricoverato nel manicomio della città. Lì, vedendo come erano trattati i malati di mente (con camicia di forza e frustate), decide di fondare un ospedale per i poveri, elemosinando con la celebre frase: «Fate bene fratelli a voi stessi, per amore di Dio». Gira nei quartieri più miserabili in cerca di malati e moribondi, se li carica sulle spalle e li cura con amore nel suo ospedale. Il vescovo di Tuy gli suggerisce l’abito da indossare e gli dice: «D’ora in poi ti chiamerai Giovanni di Dio». Nel 1546 il santo riunisce attorno a sé i primi compagni (tra cui un assassino e il fratello della vittima, da lui riconciliati) che saranno le colonne dell’ordine ospedaliero. Nel 1550 durante una piena del fiume Genil, Giovanni si butta in acqua per salvare un ragazzo che stava per annegare e contrae una polmonite che ne causerà la morte l’8 marzo. Canonizzato nel 1690, è stato proclamato con S. Camillo de Lellis patrono degli ospedali e degli infermi (nel 1866) nonché degli infermieri e loro associazioni (1930). Cesare Lombroso lo ha definito il «creatore dell’ospedale moderno» per le sue concezioni igieniche assistenziali, basate sul rispetto assoluto della personalità del malato. Oggi i Fatebenefratelli sono diffusi in tutto il mondo.

sabato 7 marzo 2015

Santo del giorno

Perpetua e Felicita sono due africane martirizzate durante la persecuzione di Settimio Severo il 7 marzo del 203 nell’arena di Cartagine. Perpetua, figlia di un nobile pagano, aveva 22 anni ed era madre di un bimbo ancora in fasce; Felicita, la sua giovane schiava, diede alla luce in carcere una bambina e questo parto le permise di partecipare al martirio. Furono incarcerate entrambe con i santi Saturnino, Revocato e Secondulo e poiché erano tutti catecumeni furono battezzati in prigione. Ad essi si unì il loro catechista, Saturo. Eccetto Secondulo, che morì in prigione, tutti furono sottoposti a percosse, esposti alle belve e poi decapitati per la fede. Conosciamo alcuni fatti accaduti durante la prigionia perché Perpetua li annotò su un diario che ci fu tramandato come La Passione delle sante Perpetua e Felicita e che fu arricchito e ordinato addirittura da Tertulliano, il grande scrittore dell’epoca. Sappiamo tra l’altro che il padre di Perpetua, disperato, cercò diverse volte di convincerla ad apostatare, arrivando a schiaffeggiarla davanti al suo rifiuto. I martiri vollero porre fine alla loro vita scambiandosi il bacio di pace e al popolo parlarono con la solita franchezza, dicendosi felici di morire per la loro fede. Di fronte a tanta fortezza d’animo, numerose persone si convertirono. Per primi furono uccisi gli uomini, legati a un palo ed esposti ai morsi di un leopardo e di un orso; poi toccò alle donne le quali, dopo essere state prese a cornate da una mucca infuriata, mentre si tenevano per mano furono portate al centro dell’arena per essere sottoposte al taglio della gola. Il racconto del loro martirio si diffuse in tutto il mondo, unendo le due sante nella devozione popolare. Sulla tomba di questi eroici testimoni fu eretta la “basilica Maiorum” in cui S. Agostino, vescovo di Ippona, tenne molte omelie al popolo. Perpetua e Felicita furono ricordate anche a Roma nella Depositio Martyrum al 7 marzo e i loro nomi vennero inseriti nel canone della Messa.

venerdì 6 marzo 2015

Buon Compleanno “La Luce”!!!

Eh sì!! Proprio un anno fa nasceva il nostro giornalino parrocchiale “La Luce”!!! Noi redattori siamo orgogliosi di questo traguardo perché, a dirla tutta, in qualche momento la fatica si è fatta sentire.

Santo del giorno

Ogni anno, la sera del 3 settembre, a Viterbo le luci si spengono e la folla fa ala dietro le transenne ai lati delle strade per assistere al passaggio della patrona della città, vestita di bianco con fascia rossa in vita, trasportata dalla cosiddetta “Macchina di Santa Rosa” o “campanile che cammina”, alta oltre 30 metri, sollevata e portata a spalle dai cosiddetti “facchini”. Rosa visse tra il 1233 e il 1251, date presunte perché risultano scarne le notizie sulla sua vicenda, circondata più da elementi leggendari che da testimonianze storiche. Secondo le due fonti principali (frammenti di una Vita prima e una Vita seconda desunta dalla prima) Rosa, nata da modesti contadini, si fece terziaria francescana. In quel periodo erano particolarmente forti le contese politiche tra i ghibellini, seguaci dell’Imperatore Federico II, scomunicato da Innocenzo IV, e i guelfi fedeli al pontefice. Rosa, animata da grande passione apostolica, percorreva le strade con una croce in mano predicando la concordia in nome del Signore e della Vergine, e pregando per la conversione degli eretici. Secondo la Vita prima, il podestà pensando che l’azione della giovane infiammasse ancor più gli animi, la condannò all’esilio insieme alla sua famiglia, che il 4 dicembre 1250 fu costretta a rifugiarsi a Soriano nel Cimino. Morto Federico II, Rosa tornò a Viterbo e chiese di entrare nel monastero delle Povere Dame di San Damiano, dette Damianite, come si chiamavano allora le Clarisse, ma non fu accolta. Allora lei predisse alle monache che «sarebbero state felici di avere da morta colei che non volevano da viva». Secondo la tradizione, morì a 18 anni, consunta dalla tubercolosi. La fama di santità si sparse rapidamente fuori Viterbo e papa Alessandro VI, nel 1258, ordinò che il suo corpo fosse traslato nel monastero delle Damianite. Nel 1922 fu proclamata patrona della gioventù femminile cattolica italiana e poco dopo anche del Terz’Ordine femminile di san Francesco.

giovedì 5 marzo 2015

Santo del giorno

L’isola d’Ischia ha dato i natali a questo santo, che vi nacque il 15 agosto 1654 e fu battezzato coi nomi di Carlo Gaetano. Sui 15 anni, attratto dalla vita religiosa, decise di entrare tra i Francescani scalzi della riforma di San Pietro d’Alcantara, nel convento napoletano di S. Lucia al Monte, dove fece la professione nel 1671 assumendo i nomi di Giovanni Giuseppe. Fu il più giovane dei 12 frati che, nel luglio 1674, presero possesso del santuario di S. Maria Occorrevole a Piedimonte d’Alife dove grazie all’opera fattiva del santo, fu costruito un convento. Ordinato sacerdote il 18 settembre 1677, per oltre tre lustri fu alternativamente maestro dei novizi a Napoli e guardiano a S. Maria Occorrevole. Nel Capitolo del 1702 la provincia alcantarina si divise: i conventi di S. Lucia al Monte e di Portici furono uniti alla provincia di Castiglia, mentre i restanti otto conventi furono riservati agli italiani, che si raccolsero attorno a fra Giovan Giuseppe, il quale li esortò alla pazienza affermando: «Tutto quello che Dio permette, lo permette per il nostro bene». Nel 1703 fu eletto superiore della costituita provincia italiana dell’Ordine, adoperandosi per farvi rifiorire la carità fraterna e l’osservanza della disciplina. Sollevato dalla carica nel 1706, si dedicò alla cura delle anime, alla confessione e alla direzione spirituale, nonché all’assistenza alle famiglie povere ed ai malati che visitava e spesso guariva con una preghiera o un segno di croce. Fu anche arricchito di numerosi carismi quali la profezia, la scrutazione dei cuori, apparizioni della Vergine e del Bambino Gesù, la bilocazione e molti miracoli, tra cui rimase celebre la resurrezione del defunto marchesino Gennaro Spada; fu inoltre visto passare per le strade di Napoli sollevato in estasi da terra. Morì il 5 marzo 1745. Gregorio XVI lo canonizzò nel 1839 insieme a Francesco de Geronimo e Alfonso de’ Liguori. Un anno dopo, i fedeli di Napoli e di Ischia lo acclamarono loro patrono.

martedì 3 marzo 2015

Santo del giorno

La fondatrice delle Figlie del Sacro Cuore di Gesù nacque a Bergamo il 31 luglio 1801, primogenita di sette figli. Avvertendo la chiamata alla vita religiosa, entrò nel monastero benedettino di Santa Grata, ma dovette tornare in famiglia a causa di attacchi epilettici; vi rientrò uscendone poi per altre due volte, pur avendo fatto la vestizione assumendo il nome di Eustochio, quello di una santa romana morta nel 419, figlia di santa Paola e discepola di San Girolamo. Nel 1831, insieme al canonico Giuseppe Benaglio, sua guida spirituale, in località Gromo, nel borgo storico di Città Alta, fondò un istituto religioso per l’istruzione e l’educazione della gioventù, le Figlie del Sacro Cuore di Gesù. Gli inizi erano promettenti, ma il nuovo vescovo di Bergamo, mons. Gritti Morlacchi, si manifestò decisamente contrario all’istituto costringendo la Verzeri a cambiare diocesi e a trasferire la casa madre dal Gromo a Brescia, nel convento di Sant’Afra. Da allora le fondazioni si moltiplicarono a Como, nel Trentino, a Lodi, Piacenza e anche a Roma, dove la santa ottenne l’approvazione pontificia per la congregazione. Le sue suore, grazie al suo luminoso esempio, si imposero alla stima della popolazione come educatrici e guide delle ragazze povere, delle orfane, delle abbandonate e anche delle traviate: per recuperarle e valorizzarle, esse rifiutano la pedagogia della repressione, educandole ad una libertà che le spinga – come afferma la Fondatrice - «a operare volentieri e in pieno accordo quello che, oppresse da comando, farebbero come peso e violenza». Insomma, con le armi della ragione, della religione e dell’amorevolezza, un metodo che fa della Verzeri una sorta di Don Bosco al femminile. Spossata dalle fatiche delle fondazioni e dai gravosi impegni di guida spirituale delle sue religiose, Teresa morì il 3 marzo 1852 a Brescia nella casa di Sant’Afra. Beatificata da Pio XII nel 1946, fu canonizzata da Giovanni Paolo II il 10 giugno 2001.

domenica 1 marzo 2015

Santo del giorno

Questa grande mistica benedettina, meno conosciuta di quanto meriterebbe, nacque ad Asiago il 15 agosto 1606 e fin da giovanissima fu gratificata da doni straordinari. Rimasta orfana di madre a soli 6 anni, fu condotta dal padre nel monastero di S. Chiara a Trento per esservi educata. Dodicenne, avendo espresso l’intenzione di abbracciare la vita religiosa, fu condotta ad abitare a Vicenza, nella speranza che la vita della città potesse distrarla. Ma lei non cambiò idea e a 15 anni, col permesso paterno, entrò nel monastero delle Benedettine di S. Girolamo a Bassano, dove fece la professione prendendo il nome di Giovanna Maria. Cominciarono ben presto le esperienze mistiche, frequenti soprattutto dopo aver ricevuto la Comunione e particolarmente dolorose mediante la condivisione delle sofferenze della Passione di Cristo. Nel 1632 le comparvero le stimmate e dal 1637 andò soggetta a estasi periodiche, che duravano dal giovedì al venerdì sera. Queste esperienze straordinarie le procurarono molte incomprensioni al punto che dal 1644 le fu imposto un isolamento quasi completo, con proibizione di scrivere anche ai familiari ed esclusione dal parlatorio, mentre un nuovo confessore si accanì contro di lei vietandole persino di comunicarsi. La beata accettò le prove con umiltà, senza ribellarsi, affermando che «tutto è amore». Nell’ultimo ventennio della vita le contrarietà si placarono, tanto che la beata ricoprì anche le cariche più alte nella comunità, prima come maestra delle novizie e delle educande, poi come badessa del monastero, mirando a promuovere l’osservanza della regola e ribadendo che la santità consiste nel compiere perfettamente le cose semplici e comuni. Morì il 1° marzo 1670 e alla sua intercessione vennero ben presto attribuite guarigioni prodigiose, per cui si iniziò il processo canonico e il 9 giugno 1783 Pio VI la proclamò Beata. Il suo culto è particolarmente diffuso nel Veneto.