La comunità cristiana
di Mosul, la seconda città
dell’Iraq, esisteva già 1700 anni fa. Ora però, dopo l'editto degli estremisti
musulmani sunniti dello Stato islamico, è quasi del tutto sparita. I miliziani
dell'Isis, guidati da Abu Bakr al Baghdadi hanno scatenato una durissima
campagna di terrore contro le minoranze religiose non islamiche. I cristiani si
sono rifugiati nel Kurdistan o in alcuni villaggi ancora non conquistati dai
fondamentalisti. Ma nei loro confronti è caccia all'uomo. Nel 2003, quando
cadde Saddam Hussein, a Mosul i cristiani erano sessantamila. Ora sono quasi
dimezzati: trentacinquemila. Il Papa molto spesso durante l’Angelus ricorda la
tragedia dei cristiani perseguitati.
Il Pontefice segue sempre con preoccupazione le notizie che giungono dalle
comunità cristiane sparse in tutto il Medio Oriente e mette in luce spesso come
sin dall’inizio del cristianesimo le comunità cristiane hanno vissuto con i
loro concittadini musulmani offrendo un contributo per il benessere della
società. Ciò nonostante, dal 14 luglio i miliziani del Califfato hanno iniziato
a segnare con la lettera N (Nasrani, seguaci del Nazzareno) le abitazioni degli
Shabak e dei turcomanni sciiti. Marchio che i jihadisti intendono della
vergogna, ma non sono coloro che lo subiscono a doversi vergognare, bensì coloro
che lo impongono. Le persone che abitano le case “marchiate” dovevano entro il
17 luglio scorso scegliere se
convertirsi, pagare la jizia, (una tassa applicata solo ai non musulmani) o
lasciare le loro case. L’alternativa per chi non accetta la nuova legge è “la
spada” della sharia, come intima il Califfo Ibrahim. Noi cristiani
dell’occidente seguiamo l’appello di Papa Francesco, ossia quello di pregare
per i nostri fratelli perseguitati e cacciati via dalle loro case, per far si
che arrivi la nostra vicinanza a quelle persone che, in nome di un’assurdità,
vengono barbaramente uccise.
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